Andrzej Munk
nasce
da famiglia ebraica e durante l’occupazione nazista lavora in
un’impresa
edilizia sotto il falso nome di Wnuk. Fa parte dell’Armia Krajowa e
partecipa
all’insurrezione di Varsavia, nel corso della quale viene catturato dai
tedeschi. Fortunatamente riesce a fuggire. Studia alla scuola di cinema
di Łódź
e inizia come operatore e poi documentarista. La particolarità dei suoi
documentari
è che in essi il regista utilizza il girato in modo da creare una vera
e
propria narrazione: i fatti ripresi prendono la forma di una storia,
spesso
anche raccontata in modo piuttosto avvincente.
Il passaggio dal
documentario al film di finzione avviene
quindi in modo molto naturale con Błękitny
krzyż
(trad. La Croce Blu), che è una via di mezzo tra un film
di finzione e
un documentario. Ambientata verso la fine della guerra, la vicenda
narrata è
quella di un piccolissimo ospedale allestito dentro un rifugio sui
monti Tatra,
da cui alcuni feriti devono essere trasferiti in un ospedale più sicuro
e
attrezzato. Per il trasferimento è necessario scavalcare due montagne
innevate
ed evitare un avamposto tedesco ancora presente sul territorio. I
volontari del
soccorso, appartenenti appunto alla Croce Blu, riescono con difficoltà
a
portare a termine la missione.
La storia
raccontata da una voce fuori campo indica lo
stretto legame che ancora sussiste tra film di finzione e documentario,
così
come l’utilizzo di un soggetto tratto da una storia vera e l’ingaggio
di attori
non professionisti tra i quali alcuni avevano realmente preso parte
alla
vicenda.
Il successivo Człowiek na
torze (trad. L’uomo sui binari),
di cui si è parlato precedentemente, perde quest’ultimo aggancio col
genere
documentaristico utilizzando una narrazione basata su tre diversi punti
di
vista. La sceneggiatura di quest’ultimo film è dello stesso Andrzej
Munk in collaborazione
con Jerzy Stefan
Stawiński, che scriverà per lui anche per Eroica del 1957 e Zezowate Szczęście (trad. La
fortuna strabica) del 1960.
Il primo di questi
due film è in due episodi: Scherzo
alla polacca racconta
l’insurrezione di Varsavia vissuta da un personaggio che si occupa di
scambio
di informazioni tra gli ungheresi e i combattenti polacchi. Costui è
spesso
ubriaco e attraverso i suoi occhi anche la stessa insurrezione di
Varsavia
risulta grottesca e inutile, così come sono inutili i suoi viaggi nella
Varsavia occupata e le informazioni che egli consegna. Nell’ultima
scena egli,
ubriaco, si lancia una bottiglia vuota dietro le spalle e colpisce un
carro
armato tedesco che si avvicina.
Il secondo
episodio, Ostinato
lugubre, si svolge in un campo di prigionia dove vive un
gruppo di
prigionieri di guerra polacchi. Tra di essi si diffonde la leggenda
della fuga
di uno di loro, fuga che di fatto è falsa, perché il prigioniero
latitante in
realtà è gravemente malato e si trova nascosto nel solaio della baracca
proprio
per mantenere quel poco di speranza negli altri prigionieri. Quando il
presunto
fuggitivo muore, i pochi compagni che erano consapevoli della sua
presenza ne
fanno sparire il corpo in gran segreto.
Zezowate Szczęście,
invece, racconta la vita di uno sfortunato personaggio di nome Piszczyk a
partire dalla sua infanzia nel periodo
tra le due guerre fino alla sua età matura alla fine degli anni ‘50.
Piszczyk è
costretto ad adattarsi ad una situazione sociale e politica in continuo
cambiamento, all’interno della quale qualunque scelta non può che
rivelarsi un
errore. Le varie età della sua vita coincidono con altrettanti momenti
storici
diversi e soprattutto difficili: nell’infanzia, trascurato da un padre
sarto
sempre impegnato col suo lavoro, è ossessionato dalle sue forbici e,
troppo
zelante, cade vittima dell’invidia dei suoi compagni di scuola.
Quando
ha una
ventina d’anni, per fare colpo sulle ragazze si fa mandare in guerra,
finendo
in un campo di lavoro dal quale viene cacciato per incapacità. Per
conquistare
una ragazza collabora con la resistenza durante lo stalinismo, finisce
nei guai
ed è obbligato a trasferirsi in un’altra città, dove trova non poche
difficoltà
a sbarcare il lunario. Anche quando riesce a trovare un lavoro sicuro
il suo
troppo zelo lo porterà ad essere odiato dai colleghi e finirà
addirittura in
prigione. Prigione da cui, dopo aver scontato la pena, si rifiuterà di
uscire.
Nelle pellicole di
Andrzej Munk è anche interessantissima la
sperimentazione sonora che mette in atto il regista, sia in molte scene
di Zezowate Szczęście,
dove il rumore di forbici,
ordini impartiti o macchine da scrivere acquista un ritmo tale da
diventare
musica, sia in alcuni documentari, come ad esempio in Spacerek staromiejski (trad.
Passeggiata nella città
vecchia) del 1958, dove elimina completamente le voci e
affida tutto ai
suoni della città.
Munk rifiuta
l’espressionismo e il simbolismo, prediligendo
una narrazione e una fotografia molto realistiche e nitide. Riguardo
alle
tematiche analizza in modo approfondito le radici dell’eroismo
arrivando alla
conclusione che quest’ultimo non ha motivo di esistere. I personaggi di
Eroica
e Zezowate
Szczęście sono quindi degli anti-eroi, persone
intrappolate in una
realtà senza uscita, che a volte è la realtà di un luogo fisico, come
Varsavia
o il campo di prigionia in cui si trovano i protagonisti dei due
episodi di
Eroica, e a volte è una realtà più astratta che, come nel caso del
protagonista
di Zezowate Szczęście,
è rappresentata
dalla situazione storico-sociale in cui si trova a vivere il
protagonista.
I
film di Munk sono
girati con una buona dose di ironia, con uno stile di montaggio e
riprese e un
utilizzo della musica e dei suoni che ricorda le comiche, con diretti
riferimenti a Chaplin. Bogumił Kobiela, l’attore protagonista di Zezowate Szczęście,
contribuisce a rafforzare
quest’effetto con la sua recitazione marcatamente comica.
Bogumił Kobiela è
figlio
di un letterato e studioso di folclore polacco vissuto a Katowice,
nasce e
frequenta il liceo in questa stessa città, spostandosi poi a Cracovia
per
frequentare la PWST,
frequentata anche dal suo amico Zbigniew
Cybulski. Insieme a quest’ultimo lavora a Danzica come
attore teatrale e
fonda il teatrino studentesco Bim
Bom
nel 1954, scrivendo i testi degli spettacoli, occupandosi di regia e
recitando. Alla fine degli anni ’50 lavora al teatro sperimentale di
Sopot,
il Teatr Rozmów, dove riscuote grande successo come cabarettista,
mentre negli
anni ’60 si trasferisce a Varsavia e lavora ai cabaret Dudek e
Wagabunda.
Lavora anche nel
cinema con Andrzej
Wajda in Cenere
e diamanti, poi, come già detto, con
Munk come protagonista del Zezowate
Szczęście.
Questi ultimi sono senza dubbio i suoi migliori ruoli cinematografici.
Nel
primo film interpreta un segretario comunale in carriera che,
ubriacatosi senza
ritegno, perde il lavoro, viene picchiato e involontariamente causa la
morte
del protagonista. Pur trattandosi di un ruolo di secondo piano è
un’interpretazione di grandissimo valore perché riesce ad unire la
comicità del
proprio stile recitativo con la tragicità travolgente che caratterizza
il film
di Wajda.
Nei tardi anni ’60
lavora con Jerzy
Skolimowski in Ręce
do góry (trad. Mani in alto), dove in una
famosa scena scappa a gambe levate davanti ad un cartellone che ritrae
la
faccia enorme di Stalin con quattro occhi. Scena a causa della quale il
regista
del film è costretto ad emigrare. Bogumił Kobiela muore tragicamente in
un
incidente stradale nel 1969.
L’ultimo film di
Munk è Pasażerka
(Titolo italiano: La passeggera) del 1962, tratto dal
romanzo di Zofia
Posmysz con lo stesso titolo. Il
soggetto è di nuovo quello dell’occupazione nazista e della guerra:
alcune
parti sono ambientate negli anni sessanta, in cui una donna tedesca ex
SS in
viaggio col marito incontra una sua ex-prigioniera. Altre sono
flashback degli
anni ‘40, ambientati ad Auschwitz, quando le due donne si erano
incontrate la
prima volta.
Munk riesce solamente a girare le parti ambientate nel
passato e
poi muore tragicamente, anch’egli, in un incidente stradale.
Inizialmente
nessuno dei suoi collaboratori osa portare a termine questo film, poi
si decide
di unire i vari pezzi in una specie di collage inserendo, per la parte
ambientata negli anni ’60, una serie di fotografie commentate da una
voce fuori
campo. Il film esce infine nel 1963, e desta grande interesse. A
Cannes, l’anno
successivo, vince il premio FIPRESCI.
Anche in questa pellicola Munk sottolinea il fatto che non sempre le
atrocità provengono
da errori individuali, ma spesso sono frutto di una realtà sociale che
costringe l’individuo ad agire in modo errato: così come in Zezowate Szczęście
le azioni del personaggio
erano il frutto dell’eccessiva velocità dei cambiamenti e della
conseguente impossibilità
del personaggio a fare delle scelte corrette, in questo caso i problemi
sono
determinati dalla guerra e dal sistema messo in piedi da Hitler che
portano le
persone a compiere atti orribili.
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