Jerzy Kawalerowicz
è un esponente che avrà sulla Scuola Polacca una forte influenza: non a
caso,
infatti, è direttore artistico della già citata squadra Kadr, che tiene
sotto la
sua ala la maggior parte degli autori appartenenti a questa formazione.
La
dirige a partire dal 1955, anno di fondazione, fino al 2007, con
un’interruzione di 4 anni dal ’68 al ’72 in cui la squadra stessa si
scioglie
momentaneamente,
per poi riprendere le attività come Studio Filmowe Kadr.
Le tematiche che
stanno a cuore a Jerzy Kawalerowicz non
sono completamente assimilabili a quelle di Andrzej
Munk e Andrzej
Wajda. Il tema
della guerra è talvolta presente anche nei suoi film, come ad esempio
nel suo Prawdziwy koniec
wielkiej wojny (trad. La vera fine
della grande guerra), ma è affrontato in modo differente:
il regista sembra, infatti, meno interessato agli aspetti sociali e
storici
rispetto ai suoi celebri colleghi, dimostrando una più spiccata
tendenza ad
evidenziare i caratteri psicologici e soprattutto esistenziali dei
personaggi e
della loro relazione con il mondo che li circonda. Inoltre la guerra è
solo uno
dei vari temi da lui affrontati in questo particolare periodo storico
in cui,
invece, Munk e Wajda si concentrano quasi esclusivamente su di essa.
Dopo i suoi primi
tre film che ancora si collocano
all’interno del Socrealizm, Kawalerowicz affronta il tema delle ferite
della
guerra nel suo già citato Prawdziwy
koniec
wielkiej wojny del 1957. Una donna, convinta che suo
marito sia morto in
un campo di concentramento, si innamora di un altro uomo. Dopo qualche
tempo il
marito, o meglio quello che resta di lui, ritorna. E’ fortemente
segnato dalle
terribili esperienze vissute, non riesce a superare i suoi traumi e per
questo
non può condurre una vita normale.
Già a un primo
sguardo è chiaro che
il film
non ha come tema principale la guerra, ma l’amore e l’irrisolvibile
problema
esistenziale che affligge i personaggi. La guerra sullo sfondo è
chiaramente la
seconda guerra mondiale, ma potrebbe essere anche un’altra guerra,
perché il
tema affrontato è universale e non per forza legato alla realtà di quel
tempo e
quel luogo. Il film è tratto dal racconto omonimo del 1957 di Jerzy Zawieyski.
Nel 1959 Jerzy
Kawalerowicz gira Pociąg
(Titolo italiano: Il treno della notte),
un bellissimo film ambientato per la maggior parte su un treno che si
trova a
percorrere di notte la penisola di Hel sul mar Baltico. Il film si
svolge nel
giro di una notte: un uomo e una donna che non si conoscono si trovano
a
dividere lo scompartimento per la notte, e a condividere parte delle
tristi
esperienze che hanno segnato la loro vita. Marta è una ragazza
insoddisfatta
che esce da una storia d’amore dolorosa, mentre il suo sconosciuto
compagno di
viaggio è un dottore, un uomo solo che non riesce a fare i conti un suo
fallimento
costato la vita di una sua paziente adolescente che aveva tentato il
suicidio.
Sul treno viaggia
anche Staszek, che ha avuto in precedenza
una storia con Marta e ne è innamorato. Interpretato da Zbigniew Cybulski,
sale sul treno al volo
all’inizio del film proprio per seguire la ragazza, che, invece, lo
evita in
tutti i modi perché non ricambia il suo amore e vuole chiudere una
storia che
per lei era frivola ma da cui lui si aspettava molto di più.
Tutta la pellicola
è pervasa di una tangibile malinconia che
non avvolge solo questi tre personaggi ma anche tutti gli altri
passeggeri, un
gruppo eterogeneo di persone di tutte le età ed estrazioni sociali,
ognuno con
i propri drammi sentimentali e la sua solitudine. Tra i viaggiatori vi
sono una
donna in cerca di un uomo, un capotreno che flirta con la sua collega e
un
prete. I ritratti psicologici dei personaggi sono acutissimi e
l’atmosfera è
pervasa da una certa inquietudine, anche perché presto davanti
all’obiettivo
del regista prendono il sopravvento la stupidità, l’aggressività
gratuita e la
crudeltà dell’uomo, scatenate dalla notizia della presenza di un
omicida a
bordo del treno.
Mentre da un lato
il regista analizza l’aspetto sociale
degli avvenimenti narrati, dall’altro segue con grande interesse le
storie
d’amore e i rapporti tra i personaggi dando vita a un film che in
qualche modo
abbraccia diversi generi come il melodramma, il film sociale con
qualche
elemento del thriller psicologico.
La direzione della
fotografia è di Jan
Laskowski, che ha dato vita a film di
grande impatto visivo come Ostatni
dzień lata
(trad. L’ultimo giorno d’estate) diretto da Tadeusz Konwicki,
Do
widzenia, do jutra diretto da Janusz Morgenstern
e non ultimo Bariera,
con regia di Jerzy
Skolimowski. L’illuminazione delle
scene da lui concepita in Pociąg
rasenta
la perfezione: non è possibile trovare nemmeno un dettaglio che rimanga
in
ombra, nonostante l’ambientazione claustrofobica quasi sempre collocata
all’interno del corridoio o dello scompartimento del treno. Il film,
infatti,
viene premiato a Venezia per il valore tecnico e per il virtuosismo
realizzativo.
Il terzo film di
Jerzy Kawalerowicz che ancora fa parte
della Scuola Polacca è Matka
Joanna od Aniołów
(Titolo italiano: Madre Giovanna degli Angeli) del 1960,
un film quasi sperimentale
e di altissimo livello artistico. In alcune sequenze anticipa lo stile
visivo e
registico della “nowa fala” (la Nouvelle Vague polacca) skolimowskiana
di Bariera,
anche se in questo caso il direttore
della fotografia non è Jan Laskowski ma Jerzy Wójcik.
La fotografia di
Jerzy Wójcik è raffinata e particolarissima,
come è dimostrato da film come Popiół
i dyament
(Titolo italiano: Cenere e diamanti) e Nikt
nie woła (trad. Nessuno chiama). Il suo è un bianco e nero
simbolico che
evidenzia tutte le sfumature che esistono tra il bene e il male. Il
film è
tratto dal racconto omonimo di Jarosław
Iwaszkiewicz edito per la prima volta nel 1946 in Nowa miłość i inne
opowiadania, ma scritto
durante la guerra. La sceneggiatura è frutto di una collaborazione tra
Tadeusz Konwicki
e Jerzy Kawalerowicz stesso ed è ambientata nel XVIII secolo nella
zona di
Smoleńsk, sullo sfondo di uno sperduto monastero.
Il racconto di
Iwaszkiewicz analizza il tema dell’esorcismo
e dei diavoli di Loudun, un caso realmente accaduto all’inizio del XVII
secolo nell’omonima località francese, spostandone con nonchalance gli
avvenimenti da
Loudun a Ludyń, in Polonia, senza preoccupazioni riguardo al diverso
sfondo
storico. In quel periodo in Europa su questi argomenti si girano
diversi film, si
scrivono testi di vario genere, compresa un’opera teatrale in tre atti
del 1969
di Krzysztof
Penderecki con libretto
del compositore stesso.
Ma diversamente da
quanto avviene per questi ultimi, Matka
Joanna od Aniołów analizza un tema che va
oltre l’esorcismo, ovvero la relazione tra il prete che avrebbe dovuto
effettuare l’esorcismo e la monaca posseduta dai demoni. La scelta
temporale e
spaziale è poco importante e soprattutto non ben definita: mai e da
nessuna
parte oppure sempre e ovunque. Il regista non critica né celebra il
cattolicesimo, l’unico aspetto che gli interessa è quello esistenziale:
si fa
domande su qual è il limite della libertà di un uomo, analizza il
rapporto
dell’uomo con il proibito e con i propri limiti e il rapporto
dell’individualità con la collettività.
La pellicola vince
la Palma d’Argento nello stesso anno in
cui Viridiana
di Bunuel,
che affronta un tema molto simile, vince
quella d’Oro. Il film suscita tuttavia le proteste dell’episcopato
polacco e
del vaticano dando vita ad uno scandalo politico-diplomatico.
Nonostante questo
la bravura dell’attrice protagonista, Lucyna Winnicka,
viene grandemente lodata: l’icona
femminile del cinema polacco degli anni ‘60 e ‘70 riesce a dare infatti
al suo
personaggio un carattere davvero complicato e strano, evidenziandone
sia gli
aspetti di vittima della possessione, sia gli aspetti di qualcuno che
malvagiamente trama qualcosa, creando una figura ambigua e controversa.
Lucyna Winnicka,
che sposa Jerzy Kawalerowicz negli anni ’50
ed è anche protagonista dei suoi due precedenti film, studia diritto a
Varsavia e
oltre all’attrice fa il reporter. Fonda una scuola di medicina
alternativa
orientale, viaggia molto, lavora in teatro e scrive due libri. Dal ’98
lavorava
contro la corruzione dei politici e a favore della trasparenza nei
confronti
del cittadino.
Figlia cresciuta in
una famiglia liberale borgese, come
primo ruolo al cinema deve interpretare in Pod
gwiazdą frygijską (trad. Sotto la stella frigia), sempre
di Jerzy
Kawalerowicz, una comunista combattente: nonostante l’abissale
differenza tra
l’attrice e il suo personaggio, Lucyna Winnicka riesce a creare il
primo e
forse unico vero personaggio socrealista. Partecipa spesso attivamente
alla
creazione del film anche in ambiti che non riguardavano strettamente la
recitazione: ad esempio in Pociąg
suggerisce
al regista e al direttore della fotografia di riprendere il suo volto
da punti
di vista inusuali o da dietro altri oggetti, dando in questo modo un
effetto di
impenetrabile mistero e, proprio grazie a questo, rendendo questo film
il
capolavoro che è.
Purtroppo dopo
questi tre film di Kawalerowicz, che furono i
suoi capolavori ma anche le sue maledizioni, Lucyna Winnicka non trovò
più un
posto nel cinema o nel teatro, e ricoprì da allora solo ruoli di
secondo piano.
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