Al di là di
Buczkowski e Starski, uno dei pochi registi che
riesce a fare film in queste condizioni pur avendo un’esperienza che
risale già
a prima della guerra è Wanda
Jakubowska.
Nel 1939 ha appena terminato il suo primo film di finzione, Nad Niemnem, mai
proiettato a causa dello scoppio del conflitto. Tutte le copie vanno
perdute e
lei finisce ad Auschwitz. Sopravvive, e nel 1947 realizza un film su
questa sua
esperienza che si intitola Ostatni
etap (trad.
Ultima tappa). Il film è davvero degno di nota, e gode
ancora adesso di
grande considerazione.
La regista ha come
obiettivo rendere in modo il più
possibile verosimile la realtà di Auschwitz, e su questo impiega
eccezionale
passione: le ambientazioni sono originali, e lo sono persino le divise
a
strisce delle prigioniere. Scrive la sceneggiatura insieme a una sua
compagna
di prigionia, Gerda
Schneider, e racconta
le storie di diversi personaggi all’interno del campo di sterminio. Il
film termina
con il motto: non permettete che Auschwitz si ripeta. La direzione
della Film
Polski è messa in crisi da questo film, in particolare per le troppe
attinenze
tra i lager nazisti e i gulag di Stalin. Wanda
Jakubowska, per sbloccare la situazione, decide di
chiedere aiuto
direttamente ai Sovietici, che le accordano il permesso di distribuire
il film.
Nel 1949 esce anche
Ulica
Graniczna (trad. Via Graniczna, o Via di confine) di Aleksander Ford,
altro raro esempio, come Wanda
Jakubowska, di regista con
un’esperienza che risale e prima della guerra. Il film racconta la vita
dei
bambini ebrei e polacchi che abitano in via Graniczna, la via di
Varsavia che
da il titolo al film. L’azione si svolge a partire dall’inizio della
guerra,
continua negli anni successivi, durante i quali la via viene inglobata
nel
ghetto di Varsavia, e termina alla fine del conflitto.
In uno dei palazzi
della via Graniczna abitano alcuni
bambini: Jadzia, figlia di un dottore, Władek, figlio di un impiegato
di banca,
Bronek, figlio di un vetturino, Fredek, figlio di Kuśmirak,
proprietario di un
ristornate, e il piccolo Dawidek, figlio di un elettrotecnico e nipote
del
povero sarto Liberman. Durante l’occupazione i padri di alcuni di loro
vengono
mandati al fronte, mentre Kuśmirak serve i tedeschi nel suo locale. Il
dottore,
padre di Jadzia, cerca di eliminare dal suo appartamento tutto ciò che
possa
ricondurre alle origini ebraiche della sua famiglia, ma purtroppo
Kuśmirak è al
corrente delle sue origini e pensa bene di ricattarlo.
Il papà di Władek,
fuggito da un campo di prigionia, si
arruola nell’esercito clandestino e il sarto Liberman, alle prese con
la
Gestapo, si rifiuta di denunciarlo anche sotto tortura. Viene così
trasferito
nel ghetto. Władek viene a sapere che suo padre è ancora vivo proprio
grazie alla
lealtà di Liberman, e cambia completamente atteggiamento nei confronti
degli
ebrei.
Jadzia, che si era
trasferita in campagna da una zia, torna
nel vecchio appartamento per cercare il padre, e Fredek, figlio del
perfido Kuśmirak,
le dice senza tanti complimenti che suo padre è morto. Poi, non
contento, cerca
di denunciarla alla Gestapo. Viene però successivamente scambiato per
un ebreo
e ucciso dai tedeschi.
Quando scoppia
l’insurrezione del ghetto Jadzia e Dawidek con
l’aiuto degli amici fuggono attraverso le fogne. Poi quest’ultimo torna
nel
ghetto in fiamme dove si incontra con Władek, che gli comunica la
triste
notizia che suo padre è morto durante un rastrellamento, e gli consegna
la
pistola del genitore come ricordo. È notevole la sequenza della morte
di
Liberman e soprattutto molto interessante quella dell’insurrezione del
ghetto, ritratta
con maestria da Ford, nonostante questi avesse passato tutto il periodo
della
guerra in Unione Sovietica e non avesse quindi partecipato
personalmente a
questi avvenimenti.
Alexander Ford
troverà molte resistenze riguardo a questa pellicola che affronta in
modo così diretto
il tema dell’antisemitismo; per la sua distribuzione il regista è
costretto a
chiedere aiuto al di fuori della Polonia, ed è per questo che il film
risulta
essere una collaborazione Ceco-Polacca. Il film esce infatti prima
all’estero,
e vince al Festival di Venezia.
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