In questo difficile periodo vengono
prodotti svariati film
che affrontano la questione ebraica: alcuni di essi hanno un alto
valore
artistico, altri, invecce, finiscono per diventare film di propaganda
anti-tedesca,
come nel caso di Wanda Jakubowska con in Koniec
naszego swiata (trad. La fine del nostro mondo).
Tra i film di maggior pregio vi č Samson di Andrzej
Wajda, tratto dall’omonimo romanzo di Kazimierz
Brandys. La pellicola segue il tragico destino di un
giovane ebreo,
Jakub, destinato al genocidio durante l’occupazione di Varsavia. Da
un’ateneo
antisemita finisce in prigione per omicidio involontario ed esce nel
1939.
Lavora prima nel ghetto come becchino e poi, dopo la morte della madre,
in modo
quasi involontario si ritrova nella zona libera della cittą. Trova
rifugio da
una ragazza, che lo nasconde ed č disposta ad aiutarlo offendogli una
vita
relativamente agiata. Lui perņ si sente in colpa e vuole tornare nel
ghetto a
condividere la sua sorte con gli altri ebrei.
Come il biblico Sansone era dotato di
enorme forza fisica,
Jakub č dotato di una grande forza emotiva: la ragazza č anch’essa
un’ebrea che
ha nascosto a tutti le sue origini, e che dopo aver conosciuto Jakub si
sente
pronta ad andare incontro alla sua sorte di ebrea. Quando Jakub torna
nel
ghetto, c’č stata l’insurrezione e il ghetto non c’č pił. Lavora per un
po’ in una
stamperia clandestina finché la accerchiano i tedeschi e lui decide di
sacrificare la propria vita per salvare i compagni.
Andrzej
Wajda e Jerzy
Wójcik, coppia regista- direttore
della fotografia gią collaudata in occasione di Cenere
e Diamanti, utilizzano per la prima volta il cinemascope
proprio in
questa pellicola e si cimentano in un linguaggio cinematografico di
tipo
espressionista: ad esempio, la rappresentazione del ghetto avviene
tramite una
telecamera fissa che riprende un gruppo di persone vestite di stracci.
Davanti
ad esso due mani inchiodano un’asse dopo l’altra finché l’intera
inquadratura č
occupata da un muro.
Tuttavia Brandys, l’autore del
romanzo, non si trova
d’accordo con i due: la sua idea era quella di girare un film con un
linguaggio
realistico. Alla fine, il film risulta un compromesso tra le due
visioni
perdendo, forse, un po’ di valore. L’attore protagonista Serge Merlin
lavorerą
con Wajda anche in Danton
e interpreterą
l’uomo di vetro in Il
favoloso mondo di Amélie
di Jean-Pierre Jeunet
del 2001.
Altro bel film, seppur piuttosto
tendenzioso, č Naganiacz
(trad. Il delatore) diretto da Ewa e Czesław Petelski,
che racconta la
storia di un gruppo di ebrei ungheresi che, nell’ultimo inverno della
seconda
guerra mondiale, fuggono dal mezzo che li trasporta verso i campi di
sterminio
e vengono aiutati da Michał, uno degli abitanti di un villaggio polacco
isolato
e coperto di neve. Michał dą loro cibo e un rifugio in mezzo al fieno.
Purtroppo sopravvengono alcuni
tedeschi che si trovano
casualmente nei dintorni per una battuta di caccia. Sentendo gli spari,
tutti i
fuggitivi sbucano dai loro nascondigli e vengono uccisi. Si salva
soltanto una
donna, colei che per prima era entrata in contatto con Michał e di cui
quest’ultimo
era forse innamorato. La donna, convinta che Michał abbia tradito lei e
il suo
gruppo, lo abbandona. In questo film non vi č nessun accenno di
antisemitismo
da parte del popolo polacco, che risulta semplice vittima e
assolutamente
neutrale nei confronti della questione ebraica.
Andrzej
Brzozowski,
invece, regista di documentari che per la prima e forse ultima volta si
dedica
alla finzione, gira nel ‘63 il corto Przy torze
kolejowym (trad. Vicino al binario ferroviario), che da
questa visione
si discosta ampiamente, e che non a caso non potrą mostrare il suo film
fino al
1991. L’azione di questa pellicola si svolge nel febbraio del ’43,
quando una
prigioniera ebrea fugge da un treno di deportati. Č sola, perché nella
fuga le
hanno ucciso il marito, e non puņ muoversi per un proiettile nel
ginocchio. Gli
abitanti del villaggio vicino sarebbero in grave pericolo di vita se la
aiutassero, secondo le regole hitleriane. Qualcuno le dą un bicchiere
di latte,
qualcuno le accende una sigaretta, ma nessuno osa fare di pił. Alla
fine
saranno gli stessi abitanti del villaggio ad ucciderla.
Un simile approccio si trova in Długa noc (trad. La lunga notte)
di Janusz Nasferter
del 1967, che si svolge in
un paesino dell’est della Polonia nel 1943. In un palazzo vivono vari
personaggi:
il signor Korsak collabora con i partigiani e nasconde un ebreo in
cantina di
nascosto dai vicini. Marta č un’adolescente che vive con la madre e ha
appena
perso il padre: a causa dell’imposizione del coprifuoco da parte dei
tedeschi
le due donne non riescono a organizzarne il funerale. La giovane
sposina
Katarzyna ha il marito in una prigione tedesca e vive il suo bambino e
con suo
cognato Katjan.
Quando tutti i condomini scoprono il
segreto di Korsak, sono
terrorizzati da un’eventuale irruzione dei tedeschi e non sanno cosa
fare per
risolvere la situazione: denunciare Korsak e l’ebreo e salvare cosģ le
proprie
vite, oppure rischiare la morte tacendo? Dopo un’ostile confronto,
Korsak e
l’ebreo fuggono. La madre di Marta irrompe nella stanza di questi
ultimi a
controllare che se ne siano davvero andati e ne approfitta per
perquisire il
pagliericcio dell’ebreo in cerca di qualcosa di prezioso.
Katjan afferma che la fine degli
ebrei č iniziata dopo
quello che hanno fatto a Gesł, poi dichiara il suo amore a Katarzyna e,
non
accettando rifiuto di lei, le fa violenza. Marta, che ha assistito
incredula
alle bassezze cui si sono spinte le persone a lei vicine, tra cui vi č
la sua
stessa madre, perde l’innocenza e ciņ che per lei era pił importante:
la
fiducia nelle persone.
Da inserire fra questi film č anche
il bellissimo corto di
Janusz Morgenstern Ambulans
(trad. Ambulanza)
del 1961 con soggetto e sceneggiatura di Tadeusz
Łomnicki, gią sovente citato in questo testo per la sua
intensa carriera
di attore.
Il corto si apre con una strada la
ripresa dalla parte
posteriore di un mezzo di trasporto: a tratti si vede il fumo nero
dello
scappamento. In un luogo desolato circondato da filo spinato alcuni
bambini e
il loro maestro sono in attesa in un piazzale. I bambini giocano,
l’atmosfera č
desolata e irreale. Arriva un’ambulanza.
Alcuni soldati tedeschi si mettono ad
armeggiare con benzina
e tubo di scappamento: montano un tubo che dalla marmitta porta il fumo
direttamente dentro la parte posteriore dell’ambulanza. Nel frattempo
un
bambino fa volare una girandola che scavalca il filo spinato e il cane
dei
soldati, che fino a quel momento aveva abbaiato contro i bambini, si
mette a
giocare con loro e corre a prenderlo. Quando torna, i bambini e il
maestro sono
stati fatti salire sull’ambulanza, e il cane fa per salire con loro per
restituire
il giocattolo al bambino. I tedeschi lo picchiano e lo fanno scendere.
Le porte
vengono chiuse e l’ambulanza si allontana.
Il film ha un’atmosfera irreale
proprio per evidenziare il
proprio carattere metaforico e simbolico. La figura dell’insegnante
vuole forse
rimandare a quella del pedagogo Janusz Korczak, che pur avendo la
possibilitą
di salvarsi decise di seguire i suoi piccoli protetti fino a Treblinka
perdendo
la vita insieme a loro.
Il Museum of Tolerance di Los Angeles
espose questo film
come fosse un documentario, travisandone completamente il carattere
simbolico.
La conseguenza di questo fu che il corto fu strumentalizzato dai
negazionisti,
che evidenziarono, appunto, il fatto che quanto presentato nella
pellicola
fosse chiaramente una finzione fatta passare per realtą. Naturalmente
Janusz
Morgenstern aveva tutt’altro obiettivo che girare un documentario.