Nel ’57 la censura
sembra lievemente allentarsi e il tema
più di moda diventa il dramma del comunista nei confronti dello
stalinismo. Si
descrive quindi apertamente il sistema stalinista dal punto di vista
delle
vittime, e in particolare un tema ricorrente è quello del terrore dei
cittadini
nei confronti dalle forze di sicurezza.
Il film in cui
questa tendenza è maggiormente evidente è Człowiek na torze (trad. L’uomo
sui binari) del
1957, tratto da un romanzo di Jerzy
Stefan
Stawiński che si intitola Tajemnica maszynysty
Orzechowskiego (trad. Il segreto del macchinista Orzechowski).
La
pellicola, per la regia di Andrzej
Munk,
racconta di un uomo, Orzechowski, che muore per evitare un disastro
ferroviario.
Se il tema sembra spiccatamente “socrealistico”, il modo di narrare è
molto
diverso da quello che si adotta negli ultimi anni: il punto di vista
sulla
storia, infatti, non è univoco, ma si articola in diverse versioni
raccontate
in flashback da vari testimoni che hanno ricordi personali
sull’avvenimento.
Il capostazione
Tuszka, che stava mettendo in pratica un
nuovo metodo di lavoro finalizzato al risparmio di carburante, racconta
che Orzechowski
non voleva adattarsi a lavorare secondo le nuove norme e che era quindi
stato
necessario licenziarlo. Quest’ultimo, quindi, per vendicarsi aveva
sabotato il
treno spegnendo il la luce del semaforo per far deragliare il treno.
Secondo il racconto
del giovane Zapora, ex assistente di Orzechowski,
tutto questo è falso, poiché Orzechowski era un uomo molto esigente e
puntiglioso
al punto da essere quasi pedante, ma comunque era un brav’uomo, un uomo
onesto.
Il vero motivo per cui il semaforo si era spento è perché chi doveva
controllare la linea, Sałata, un ubriacone, non aveva messo l’olio
nella
lampada. Orzechowski non aveva potuto fare nient’altro che gettarsi
sotto le
ruote del treno per salvare i colleghi e i passeggeri.
La prima parte del
film, che riguarda il personaggio di Tuszka,
inganna lo spettatore meno sofisticato utilizzando apparentemente alla
perfezione le regole del Socrealizm: nella figura di Zapora si incarna
addirittura il processo di crescita che avveniva nel classico schema
già citato
nei capitoli precedenti e che prevedeva le quattro tipologie di
personaggi: il
Maestro, l’Allievo, i Satelliti e il Nemico.
In realtà agli
occhi di un intenditore la pellicola ha in sé
molti punti in comune con il neorealismo: riprese all’aperto o in
interni che
sono luoghi reali, utilizzo di attori sconosciuti, rinuncia totale a
personaggi
femminili, intrecci amorosi e musica.
Inoltre emerge che
chi ha ucciso il macchinista non è
colpevole personalmente perché ha agito precisamente secondo le regole
del
sistema. Questo è uno smacco non indifferente al Socrealizm: d’altra
parte Munk
non avrebbe potuto fare più di così, senza incorrere nella censura.
Inoltre le domande
che si fanno su Orzechowski e su come si
è svolta la vicenda rimandano alle domande che in questo periodo si
fanno i
polacchi riguardo al loro paese, e il protagonista del film diventa
così il
simbolo della Polonia. Il regista ritrae la fine di quest’ultimo,
infatti, come
il risultato inevitabile proprio di quella precisa realtà sociale.
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