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STORIA DEL CINEMA POLACCO

La prima storia del cinema polacco pubblicata in rete in lingua italiana

La vita nel mondo contemporaneo

Come già detto, descrivere la vita nel mondo contemporaneo senza incappare nelle maglie della censura non è facile in questo periodo: l’unico film che in qualche modo osa affrontare il tema degli orrori dello stalinismo è Życie raz jeszcze (trad. La vita ancora una volta) del 1964 di Janusz Morgenstern di cui si è già parlato nel capitolo precedente in un paragrafo dedicato al suo regista. Un genere che si prestava piuttosto facilmente a ritrarre in modo un po’ più libero la vita nella Polonia socialista è la commedia, che ha tra i suoi migliori esponenti Tadeusz Chmielewski. Dopo il bellissimo Ewa chce spać (trad. Eva vuole dormire) del 1957, anch’esso ambientato nella Polonia contemporanea, e dopo le commedie ambientate nel periodo bellico Gdzie jest generał? (trad. Dov’è il generale?) del 1963 e Jak rozpętałem drugą wojnę światową (trad. Come scatenai la seconda guerra mondiale) del 1969 è la volta di Pieczone gołąbki (trad. Gołąbki al forno, dove i gołąbki sono degli involtini di carne avvolti da foglie di cavolo).

 

La commedia è ambientata nella Polonia quotidiana e popolare, la cui realtà viene arricchita dal regista con una lunga serie di nonsense e paradossi. L’azione si svolge in una stazione di pompaggio sulla Vistola ancora oggi visibile dal ponte Lazienkowski di Varsavia e chiamata Gruba Kaśka. A causa dell’indifferenza dei lavoratori che dovrebbero garantirne il funzionamento la stazione presenta spessissimo avarie e problemi, con gran dispetto degli abitanti della città. Leopold Górski ha come compito quello di intrattenere i lavoratori cantando per far sì che non si addormentino in servizio. Abita fuori città dove affitta una stanza vicino alla ferrovia, e quando passa il treno tutta la casa dove abita trema terribilmente. Leopold, a causa di questo, è sull’orlo di un esaurimento nervoso e sogna di ottenere un appartamento tutto per sé. Ma ogni volta che se ne libera, qualcuno più furbo di lui riesce a soffiarglielo.

 

Un giorno viene mandato a sanare la disastrosa situazione di una squadra di lavoratori lavativi, e ci riesce così bene che ottiene sia l’appartamento che l’amore di Kasia, la ragazza di cui è innamorato. La commedia è anche una feroce satira nei confronti della realtà del PRL (Repubblica Popolare Polacca) degli anni ’60, in cui molti dei personaggi appaiono come assenteisti, approfittatori e intrallazzoni.

 

Un’altra delicata e adorabile commedia il cui personaggio principale potrebbe ricordare vagamente un Jaques Tati polacco è Mój Stary (trad. Il mio vecchio) di Janusz Nasferter, un regista piuttosto sottovalutato all’interno della storia del cinema polacco, su cui è stata fatta una retrospettiva all’interno della sezione “Classici meno conosciuti” del Festival del Cinema di Gdynia nel 2014. Questo regista, spesso citato dai critici come “specialista dei piccoli drammi”[1], ritrae volentieri la realtà vista attraverso gli occhi dei bambini, degli indifesi e dei meno fortunati, soffermandosi in particolare su temi come la perdita di innocenza o la delusione delle speranze, come avviene ad esempio nel film Długa noc (trad. La lunga notte) di cui si è parlato precedentemente[2].

 

Mój Stary è del 1962 ed è visto attraverso gli occhi del piccolo Pawełek Grzela: il bambino soffre perché vede suo padre come l’opposto di quello che dovrebbe essere un buon genitore. Il Signor Grzela è appena tornato dall’occidente con grandi progetti in mente, ma si scontra con la mentalità socialista locale, piccola e burocratizzata. Tenta di aprire una scuola per cani senza alcun risultato e presto diventa lo zimbello del vicinato. Pawełek soffre di questa situazione perché viene preso in giro dagli amichetti e si vergogna di suo padre. In particolare non riesce a perdonargli che l’abbia fatto andare in giro con la pubblicità della scuola sulla schiena. Dopo un po’ di peripezie e tensioni, tuttavia, l’uomo riesce comunque a conquistarsi il rispetto del vicinato e del figlio.

 

Upał

Nel 1964 è la volta del debutto comico di un regista piuttosto impegnato come è Kazimierz Kutz. Si tratta di Upał (trad. Afa), ambientato in una torrida estate in una cittadina semi deserta a causa dell’afa, momentaneamente gestita e controllata da due anziani signori. Arriva improvvisamente in città l’ambasciatore di un paese esotico, ma nessuno ha preparato nulla per dargli il benvenuto. L’illustre ospite è offeso, e i due signori cercano di salvare la situazione insieme alla cassiera del bar del paese, Basia.

 

Di lei sono innamorati Albin, commesso della Casa della Moda, e lo stesso ambasciatore. Offre il suo aiuto anche “Miss Afa”, la bella Grzanka. Il lieto fine fa capolicno sotto una pioggia ristoratrice. Afa è tratto da uno dei più famosi spettacoli di cabaret televisivo di quegli anni, che si chiamava, appunto, Il Cabaret degli Anziani Signori. Fin dalla sua nascita, nel 1958, i suoi protagonisti erano incarnati da Jeremi Przybora e Jerzy Wasowski, presenti anche nel cast del film, e ne venne fatta anche una versione per la radio. Spesso come ospiti del cabaret venivano invitate le più popolari stelle della canzone, che cantavano sulle note composte da questi stessi due attori.

 

Głos z tamtego świata

Ma la realtà contemporanea non viene ritratta solo in commedie ma anche in film che potrebbero definirsi “di costume”. Nel 1962 esce un nuovo film di Tadeusz Rożewicz intitolato Głos z tamtego świata (trad. Voce dall’altro mondo). Si basa su un fatto di cronaca avvenuto realmente a Cracovia: un ciarlatano estorce denaro ad una vedova raccontandole di essere capace di comunicare con i morti. Il film è particolarmente incentrato sulle vittime di questo ciarlatano, oltre la vedova, infatti, ha ingannato anche una ragazza abbandonata dal suo amato e un’altra colpita da una paresi alla gamba. La questione centrale del film non si focalizza sull’aspetto “giallistico” della storia, ma su quello psicologico e morale, ruotando per lo più intorno alla questione di quanto sia facile ingannare chi soffre o si trova in un momento difficile della propria esistenza. L’uomo infelice e solo è pronto a credere in qualunque cosa pur di avere una speranza, anche se più che di speranza si tratta di illusione. Il film non tratta tanto dell’uomo in senso astratto ma della realtà concreta del destino umano e risulta piuttosto pessimista.

 

Polowanie na muchy

Anche Andrzej Wajda si cimenta in un bel film sulla realtà contemporanea che tocca marginalmente anche il tema della difficoltà di vivere nella polonia socialista, anche se è difficile considerare questo come suo tema principale. Si tratta di Polowanie na muchy (trad. Caccia alle mosche) del 1969. Il film in realtà ha già un’estetica che si avvicina a quella degli anni ’70, con una bravissima Małgorzata Braunek che veste enormi occhiali. Il protagonista è Zygmunt Malanowicz, il ragazzo de Il coltello nell’acqua di Roman Polański. Incarna un uomo, Włodek, che vive in un minuscolo appartamento pieno di mosche insieme alla moglie, al figlio e ai suoceri. Le riprese in questo interno sono claustrofobiche, i movimenti dei personaggi sono ostacolati da mobili, oggetti e dagli stessi altri personaggi, e come se non bastasse decine di nastri adesivi per acchiappare le mosche pendono dal soffitto e si appiccicano immancabilmente ai capelli e agli indumenti dei personaggi.

 

L’uomo è stato espulso dall’università di russistica, lavora in una libreria ed è in crisi perché non sa più cosa fare della sua vita e non sopporta il fatto che la moglie sia troppo autoritaria con lui. Incontra una studentessa di polonistica, appunto Małgorzata Braunek, che lascia il suo fidanzato per lui. Włodek pensa che la ragazza porterà una ventata d’aria fresca nella sua vita, ma di fatto lei lo vorrebbe più ambizioso e pieno di talento. Fa di tutto per trasformarlo nella persona che vorrebbe che fosse, lo sprona a diventare traduttore dal russo, lo porta negli ambienti della Boheme di Varsavia e lui finisce per diventare vittima di un’altra donna autoritaria che quasi lo schiavizza per soddisfare le proprie ambizioni. Decide così di tornare alla vita di prima, ma questo non sarà possibile, perché oramai anche la moglie si è messa in testa grandi progetti per la carriera del marito, e Włodek finirà dalla padella alla brace.

 

Il regista afferma: Senza nessuna esitazione afferrai la sceneggiatura di Janusz Głowacki e, amareggiato per alcune mie sfortunate esperienze, decisi di misurarmi con le donne che cercano di plasmare la nostra vita di uomini[3]. Pare che Wajda abbia girato questo film in un periodo in cui stava vivendo problemi simili a quelli del suo protagonista. Nel film non vi è un aperto confronto con la realtà socialista, la quale emerge però in modo abbastanza chiaro dalla situazione in cui vive il personaggio, costretto a condividere due strette stanze con altre quattro persone. La sceneggiatura è di Janusz Głowacki, autore che lavorerà con lui anche per Wałęsa. Człowiek z nadziei (trad. Wałęsa, l’uomo di speranza) nel 2013.

 

Un altro film che affronta il tema della vita nel mondo contemporaneo calato all’interno della realtà socialista è Skok (trad. Il salto) di Kazimierz Kutz, iniziato nel 1967 ma non uscito prima del 1969. Il film è ambientato nella sonnolenta provincia degli anni ’60 e i suoi protagonisti sono Franek e Paweł, incarnati da Daniel Olbrychski e Marian Opania. I due, di Varsavia, decidono di fuggire al mare per evitare l’esame di maturità, e finiscono coinvolti in una vera e propria attività criminale. Ad attirarceli è Filip, che da anni ha problemi con la legge e propone loro di rubare la cassa della cooperativa di un villaggio. In attesa del momento giusto per il colpo, i due si occupano di lavori stagionali, ma Paweł decide di ritirarsi dal losco affare perché si innamora di Teresa, nei cui panni vediamo la bellissima Małgorzata Braunek nel suo primo ruolo cinematografico. Restano Filip e Franek ad occuparsi del colpo da soli, ma la cosa non finirà bene.

 

Come negli anni della Scuola Polacca, Kazimierz Kutz ritrae anche in questa pellicola la vita di tutti i giorni e ambienta l’azione in uno dei suoi luoghi preferiti: la provincia polacca. Questa volta, però, si concentra sulle aziende agricole statali. I due giovani ribelli protagonisti, tuttavia, vengono visti di cattivo occhio dalla censura soprattutto dopo gli scioperi studenteschi che proliferarono in varie città della Polonia nel marzo 1968.

 

Proprio in questi anni, Andrzej Wajda inizia a lavorare sul film Czlowiek z marmuru (in italiano: L’uomo di marmo). Questo film, tuttavia, affrontando il tema della mancanza di libertà nella Polonia socialista in modo molto diretto e critico, avrà un iter interminabile a causa della censura e non uscirà fino al 1976. Verrà poi attribuito alla corrente del “Cinema dell’inquietudine morale”[4].

 

Succedeva spesso in questi anni che i film venissero presi di mira dalla propaganda o politicamente strumentalizzati. Un altro simile esempio è Agnieszka ’46 del 1964, tratto dal romanzo di Wilhelm Mach Agnieszka, corka Kolumba. La protagonista, incarnata da Joanna Szczerbic, storica moglie di Jerzy Skolimowski, è Agnieszka Żwaniec, una maestra che lotta per i suoi allievi contro l’ambiente provinciale e retrogrado di una cittadina dei territori recuperati[5] presso il Bug. Il nemico principale è Bałcz, il sindaco del villaggio, interpretato da Leon Niemczyk, che durante la guerra ha guidato una divisione che ha liberato la zona. Ora si è stabilito nel villaggio insieme ad alcuni dei suoi soldati. È un uomo duro che teme la perdita di autorità morale sulla popolazione locale e che tenta di scoraggiare tutti gli insegnanti che le autorità inviano al villaggio. Lo stesso accade nel caso di Agnieszka, di cui lui si innamora ma con cui non riesce a stabilire un vero contatto. Alla fine, lei verrà messa al bando dai contadini, lui cercherà di difenderla ma il suo potere risulterà non essere più quello di una volta. Lui fugge e lei finisce per rimanere in un’aula vuota.

 

Il film è ben accolto, ma i “partigiani”, di cui si è parlato nel capitolo La guerra: Scuola Polacca e propaganda, lo presero per un attacco personale nei propri confronti e lo criticarono aspramente attribuendogli una valenza politica esagerata che in realtà non c’era. Infatti i “cattivi” di questa pellicola erano tutti ex combattenti che non riuscivano ad adattarsi ai tempi di pace. Secondo i “partigiani”, che erano anch’essi tutti ex combattenti, venivano sminuiti i meriti di tale categoria. Inoltre, l’idea che voleva far passare lo Stato era che le terre recuperate orientali fossero state riacquisite senza alcun problema e questo film risultava una smentita che minava indirettamente la legittimità di governo dei comunisti.



[1] Dal sito https://www.filmpolski.pl/fp/index.php?film=122245 come visualizzato a marzo 2017.

[2] Vedi in questo stesso testo il capitolo: La guerra: Scuola Polacca e propaganda, paragrafo La questione ebraica.

[3] In originale: Bez większego namysłu chwyciłem scenariusz Janusza Głowackiego i rozgoryczony chwilowymi niepowodzeniami postanowiłem rozprawić się z kobietami, które próbują kształtować nasze męskie życie. Traduzione mia. Dal sito ufficiale di Andrzej Wajda https://www.wajda.pl/pl/filmy/film13.html come visto a gennaio 2017.

[4] Kino Moralnego Niepokoju: questo argomento verrà trattato nelle sezioni successive del testo, che verranno pubblicate in futuro.

[5] Territori recuperati (in polacco Ziemie Odzyskane) fu un termine ufficialmente utilizzato dalle autorità comuniste polacche nel dopoguerra per indicare quei territori che furono promessi dai Tre Grandi, alleati alla Polonia, e incorporati nella stessa dopo la fine della Seconda guerra mondiale[1].