Il tema delle
difficoltà di comunicazione tra generazioni di
cui si parlava riguardo a Ingenui
perversi
non si risolve negli anni subito successivi al 1960, ma viene ripresa
spesso
nel cinema Polacco. Polański addirittura ne fa il soggetto di un film
ne Il coltello nell’acqua.
E nel ’66, quando
Skolimowski gira Bariera,
è ancora un
tema molto vivo.
In questo film però
i “figli” non si ribellano né si sentono
in competizione con i “padri”. Osservano quasi passivamente: i “padri”
hanno
una storia passata comune, hanno dei ricordi che sono dolorosi ma che
in
qualche modo li uniscono.
Come dice Joanna
Szczerbic, l’attrice protagonista, durante
la festa al “Nowy Lokal”: “Loro
hanno le
loro canzoni, quali sono le nostre? Me la cavo da sola?”.
Ai giovani, invece,
mancano i punti di riferimento, mancano
i modelli a cui ispirarsi, manca un’identità generazionale comune. Sono
schiacciati tra un passato troppo vivo e incombente e un futuro troppo
incerto.
E in questo film
Skolimowski ce lo ribadisce di continuo in
modo più o meno metaforico e la sciabola da Ulano del protagonista,
avuta in
dono dal padre, ne è l’oggetto simbolo: il nostro dottore mancato non è
riuscito ad essere abbastanza deciso da finire l’università, ma è
assolutamente
deciso a tenere questo prezioso oggetto con sé. Non vuole darlo via in
cambio
di un bel po’ di soldi, a dispetto delle continue proposte di acquisto
che gli
vengono fatte.
Il passato e la
tradizione non si abbandonano, al limite si
usano per combattere il progresso, il capitalismo: quindi sullo sfondo
delle
vetrine vuote di “Moda Polska”, un negozio deserto con i manichini
nudi, il
protagonista brandisce la sciabola contro un’automobile in un duello
alla Don
Chisciotte, cercando allo stesso tempo di liberarla dal cellophan che
l’avvolge.
Impossibile non
pensare, guardando questa sequenza, agli
Ulani a cavallo che combattono contro l’artiglieria e gli aerei
tedeschi, e
impossibile non creare altre miriadi di collegamenti con miriadi di
tematiche.
Da perderci la testa.
Ad essere
schiacciata tra un passato troppo vivo e
incombente e un futuro troppo incerto è soprattutto la Polonia: pochi
anni
prima, infatti, evita in extremis l’entrata a Varsavia dei carri armati
sovietici, mentre un paio d’anni dopo succede l’improbabile: l’esercito
polacco
entrerà a Praga, nonostante la Cecoslovacchia sia sempre stata “amica”
della
Polonia, al fianco dell’esercito sovietico per soffocare le rivolte
della
Primavera di Praga.
Seguiranno in
Polonia ondate di antisemitismo, scioperi e
fughe di artisti di ogni genere verso occidente. Tra questi, ci sarà lo
stesso
Skolimowski che da quel momento condurrà, come dice lui stesso, una
“vita da
zingaro”.
E da quel momento è
stato praticamente rinnegato dal suo
pubblico di connazionali: per lo spettatore polacco Skolimowski ha
fatto 4
film, dal 1962 al 1966. (Forse possiamo fare un’eccezione per Quattro notti con Anna,
del 2004).
Skolimowski
all’estero diventerà il regista più temuto dai
produttori cinematografici, prenderà a pugni Klaus Maria Brandauer e
sarà
addirittura fonte di ispirazione per il soggetto di una commedia
americana
sull’impossibilità di produrre un film che abbia come regista un
polacco. E la
maggior parte dei suoi film non è distribuita in nessuna lingua.
Ma per fortuna ci
rimane Bariera.
Per parlare di Bariera
e di tutto quello
che rappresenta bisognerebbe scrivere un saggio.
Allora tanto vale
provare a ricordarne l’atmosfera
avanguardia-nouvelle vogue della bellissima sequenza nel “Nowy Lokal”
con la
suggestione quasi mistica della musica di Komeda, e l’incredibile
personaggio
che smette di pulire il pavimento per cantare, con una voce, un vigore
e una
maestria perlomeno inaspettati, i versi di Skolimowski “Con le mani alla gola… “.
Oppure ammirare
tutte le scene, dalla prima all’ultima,
dentro il deposito dei tram. L’omino che scivola lungo il tetto del
capannone,
le sequenze dedicate a vernice e pennelli, che Skolimowski ripresenterà
in
molti altri film successivi, il mitico dottore:
eccoci di
nuovo davanti
a
Tadeusz Łomnicki, questa volta con i capelli normali… e le scene
silenziose con
i semafori che regolano la folla che corre, non si sa dove e perché.
E
il
musetto imbronciato e irresistibile di Joanna Szczerbic quando dice: “Non lo so, aveva una
sciabola”, a cui non
ha resistito nemmeno il regista, che infatti, qualche tempo dopo, l’ha
sposata. |