Ogni volta che
guardo The
Shining mi viene il dubbio che sia il film più frivolo di
Kubrick: non
tanto perché è un horror, genere considerato leggero per definizione,
ma perché
è difficile astrarlo e riferirlo ad un disegno universale come di
solito accade
negli altri film dello stesso regista. Sembra quasi che la sua storia
rimanga
all’interno dei confini del film.
In genere ciò di
cui parla Kubrick in un film va esteso ad
una realtà di più ampio respiro. Le sue tematiche sono pesanti e
profonde e
rappresentano una visione universale della natura dell’uomo e della
società. Il
messaggio che vuole dare risulta spesso abbastanza forte e chiaro.
Arancia Meccanica,
ad
esempio, è un film che critica aspramente la società moderna e i suoi
metodi
che producono individui violenti, strumentalizzano le vittime e portano
l’uomo
alla perdita dell’identità.
Gli stessi temi
sono presenti in Lolita:
in questo caso colui che sfrutta la
vittima è un solo uomo e non un’entità politica, ma credo che Kubrick
abbia
scelto questo romanzo perché dava ampie possibilità di estendere i
concetti di
cancellazione dell’individuo e della sua libertà anche ad altre realtà.
Se Lolita incarna
un’ossessione sessuale, Strangelove
e Full
metal jacket incarnano l’ossessione per la guerra. La sete
di potere
porta l’uomo alla distruzione di se stesso e del proprio pianeta. Il
film è una
critica ai regimi totalitari e militari, e alla pazzia di coloro che
portano un
paese, o peggio ancora il mondo intero, a fare una guerra.
Alla sete di potere
si affianca la sete di conoscenza, tema
centrale di 2001 –
Odissea nello spazio.
Qui si parla della nascita del male nell’animo umano, identificando il
male col
progresso tecnologico. Il progresso è una perdita di innocenza: porta a
un’evoluzione o a un’involuzione?
Ecco ciò di cui
parla Kubrick. Ma qual è il vero tema di The Shining?
Qualcuno lo vede
come metafora della difficoltà dell’uomo di
comunicare nel modo moderno: chi riesce a comunicare, come Danny (anche
solo
con il pensiero), o come Wendy (che mantiene i contatti radio col mondo
esterno), sopravvive. Chi si chiude, come Jack (che porta la famiglia
nell’isolamento dell’Overlook Hotel e arriva a distruggere la radio),
muore. Ma
non riuscirei a ridurre tutto il film a questo concetto.
Altri vedono il
film come un dramma familiare alla Kramer
contro Kramer, oppure come una metafora
della storia americana in cui Wendy rappresenta i popoli sterminati
degli
indiani d’America e per questo usa l’ascia, è vestita da squaw e si è
trasferita in un hotel costruito su un cimitero indiano. E’ un’ipotesi
interessante, ma anche in questo caso è difficile pensare che sia il
perno
intorno a cui ruota il film.
Anche qui troviamo
il male e la violenza insiti dell’animo
umano, ma dov’è l’ampio respiro che caratterizzava questi temi negli
altri film
di Kubrick? Non mi sentirei di dire che Jack rappresenti l’umanità
intera, o
l’uomo moderno, o qualche altra categoria: Jack è solo Jack, un caso
isolato e
per di più deviante.
E un’altra domanda
fondamentale è: perché
quando Kubrick fa un film tratto da un
romanzo lo rende in modo il più possibile fedele, come accade in Arancia meccanica, Lolita e Eyes
Wide Shut, mentre in questo la “storia” originale viene
completamente e
volutamente travisata?
Il romanzo di
Stephen King scelto per il film viene usato
come spunto ma le differenze sono molto forti. Per fare un esempio
lampante
Kubrick tratta il lato soprannaturale della vicenda in modo molto
marginale:
starebbe perfettamente in piedi anche senza questo aspetto, mentre nel
romanzo
il soprannaturale rappresentava un tema molto più importante.
La cosa certa è che
quando pensiamo a questo film la prima
sensazione che abbiamo è quella di inquietudine. Per iniziare la morte
è
presente dappertutto, il sangue certo non manca e abbiamo addirittura
arti
staccati dal corpo, omicidi a suon di accetta e un’inondazione di
sangue
davanti a un ascensore.
Non mancano gli
episodi insoliti: non capiamo se i
personaggi misteriosi che si aggirano nell’hotel siano verità o
finzione.
Esistono o sono proiezioni delle paure dei personaggi, o addirittura
del
pubblico? Quando vediamo Danny e Wendy dall’alto nel labirinto, e poi
l’inquadratura si allarga e ci troviamo nel salone con Jack che fissa
il
plastico, Danny e Wendy sono una proiezione della mente di Jack oppure
è solo
un collegamento di montaggio?
La donna nella
doccia sembra viva, ma poi si trasforma in un
cadavere in putrefazione. E l’albergo? Si tratta di qualcosa di
completamente
inanimato oppure ha una sua volontà? (quando il barista offre da bere a
Jack
non dice forse “ordini
della casa”?)
L’albergo è il palcoscenico degli omicidi oppure in qualche modo li fa
accadere?
Il padre, che
dovrebbe essere parte della famiglia, diventa
violento, e inquieta molto di più di qualunque altro “cattivo”.
Visivamente gli
ambienti sono molto illuminati e noi siamo abituati a vedere un luogo
ben
illuminato come familiare e sicuro. Ma in questo film tutto ciò che di
peggio
può accadere accade in piena luce. Il buio, al contrario, è luogo di
rifugio
(l’armadio in cui si nasconde Danny) e salvezza (quando Danny scappa
nella
notte).
Qui Kubrick
sovverte volutamente, secondo me, le abitudini
che lo spettatore ha acquisito in anni di esperienza cinematografica:
la luce
passa da simbolo di salvezza a condizione in cui si sviluppa il male,
la donna
nella doccia passa da cliché di vittima a minaccia per il mostro stesso
e nella
scena nel salone Wendy è quella debole e spaventata, ma è lei ad essere
armata.
Vecchie credenze
popolari sostenevano che i morti tornassero
e si palesassero ai vivi. Sono credenze superate, ma nel film Kubrick
le
conferma facendo apparire le due gemelle uccise. Non sarà l’albergo
stesso a
portare sfortuna perché è costruito sopra un cimitero indiano?
Le bambine uccise,
la storia di Grady e le apparizioni nel
bagno rosso sottolineano anche il fatto che la storia che sta per
compiersi è
già successa in passato, per cui le vittime sembrano predestinate così
come il
delitto sembra destinato a ripetersi all’infinito.
La circolarità come
schema da cui non si esce ci viene
continuamente ribadita anche con effetti visivi e sonori nelle sequenze
in cui
Danny corre in triciclo nei corridoi dell’albergo. I corridoi sono
tutti uguali
e sembra che il bambino giri in tondo in modo ossessivo, sensazione
amplificata
dall’alternarsi del rumore che fa il triciclo sul pavimento, e che si
attutisce
quando percorre i tratti coperti dai tappeti.
Sono anche
inquietanti le marcate allusioni al tema del
doppio soprattutto nelle due scene che in questo film sono tra le più
difficili
da dimenticare: quando Danny, ancora a casa sua, cambia voce e parla
col suo
amico immaginario e nella magistrale sequenza di apertura in cui l’auto
dei
Torrence corre su un lago in cui si riflettono le montagne circostanti
in modo
nitidissimo ma, con un effetto alquanto sinistro, lievemente
asimmetrico.
Tutti questi
“trucchi” generano un senso di disagio nello
spettatore e ne aumentano a dismisura l’inquietudine. Potrei azzardarmi
a dire
che sia proprio questo il tema centrale e l’obiettivo di The Shining:
inquietare lo spettatore andando a
toccare quelle corde che smuovono qualcosa nel nostro subconscio.
Ma quali sono
queste corde? L’idea dell’insolito, della
morte o della perdita degli organi, l’impossibilità di riconoscere cosa
è
realtà e cosa è finzione, l’idea di ciò che sembra animato ma è
inanimato, o
che sembra vivo ma in realtà è morto, l’accadimento di fatti che
confermano
vecchie credenze popolari ormai superate, la trasformazione di qualcosa
che è
sempre stato familiare in qualcosa di malvagio, la reiterazione di
gesti o la
ripetizione di eventi già avvenuti che portano a pensare ad una
predestinazione, il doppio…
Conoscendo
l’approccio di Kubrick è probabile che sia andato
a cercare fonti più che attendibili su questo argomento, anche perché
di fatto
esiste un saggio che tratta precisamente di tutti questi temi:
Il perturbante di Sigmund Freud. Quale
testo poteva essere più rigoroso e attendibile di questo?
Forse The Shining è
tratto davvero da un testo che viene trasposto nel modo più fedele
possibile,
così come è abitudine del regista, ma a questo punto il testo di cui si
parla
non è più il romanzo di King, ridotto ad un semplice pretesto, ma il
saggio di
Freud.
Lo stesso nome
dell’albergo, “Overlook”, sembra rimandare al
titolo del saggio: infatti nelle sue molteplici accezioni “overlook”
significa
controllare, ma anche tralasciare e possiede quindi contemporaneamente
un
significato ed il suo opposto. Allo stesso modo il titolo del saggio,
“heimlich” (noto, familiare, intimo), ha tra le sue diverse sfumature
di
significato anche il suo contrario “unheimlich” (qualcosa di insolito
che
inquieta, qualcosa che deve essere tenuto nascosto e viene invece reso
noto).
Ma se davvero The Shining
parafrasa Il perturbante,
allora i
“trucchi” che usa il regista possono essere visti anche come precise
rappresentazioni narrative, visive e sonore delle teorie freudiane.
Visto in
quest’ottica questo film cambia completamente luce
e diventa un vero e proprio esperimento: un’applicazione pratica di una
teoria
scientifica.
Se così fosse
potrei dire che sia il film che l’esperimento
siano perfettamente riusciti.
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