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IL CINEAMATORE il sito del Cinema Zuta
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Prime impressioni su questo paese
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Mercoledì
- Da Wsola
a Białowieża
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Arriviamo a Varsavia alle 8.50.
Secondo gli accordi con la ROFAG dovrebbe attenderci un loro addetto
all’uscita
dell’aeroporto con un cartello con scritto sopra il nostro nome per
consegnarci
l’auto che abbiamo preso in affitto. Ci piace questa idea del cartello
e di
essere in qualche modo attesi da qualcuno in un paese sconosciuto.
In
realtà il nostro
“contatto” a Varsavia è in ritardo, ci chiama con difficoltà perché non
parla
inglese e arriva dopo più di un’ora con una Mitsubishi rossa piena di
scritte.
Ci porta nel suo ufficio nei pressi dell’aeroporto per sbrigare
innumerevoli
formalità e dopo un tempo che a noi sembra infinito, forse anche perché
non
vediamo l’ora di iniziare a guardarci intorno, realizziamo con
disappunto che
quell’auto rossa con tutte le scritte sarà la nostra auto per questa
vacanza.
Beh, infondo ci doveva pur essere un motivo per cui il prezzo era circa
un
terzo di quello delle altre compagnie! Alle 11.30 riusciamo ad
andarcene da lì
e a metterci in strada.
La
cosa che mi colpisce
subito è la miriade di insegne che ricopre le facciate. Da noi non è
così,
sembra di essere a Tokio, oppure nelle grandi città indiane o
sudamericane.
Ci
dirigiamo
immediatamente verso sud, Wsola, per l’esattezza. Abbiamo comunicato il
nostro
arrivo allo staff del Muzeum Witolda Gombrowicza, che per l’occasione
ci ha
detto che avrebbe preparato un po’ di documentazione in inglese.
Wsola
è un paesino molto
piccolo, anche senza indirizzo non abbiamo difficoltà a trovare la
bellissima
casa di Jerzy Gombrowicz, fratello di Witold, sede del museo. Essa è
infatti
segnalata da un enorme striscione con scritto a caratteri cubitali:
“Muzeum
Witolda Gombrowicza”.
A
occhio sembra tutto
chiuso, ma si fa avanti un guardiano che ci dice di aspettare. Dopo
poco riappare
e ci fa entrare: ci viene il dubbio che il museo a quest’ora sia chiuso
e che
abbiano fatto un’eccezione per noi, che venivamo da così lontano.
Ci
aspetta Ewa, con cui
Francesco era in contatto via e-mail, e addirittura una guida in lingua
inglese. Ci viene il dubbio che anche quest’ultima sia lì per noi.
Si
scusa per le sue
difficoltà linguistiche, dicendo che non ha quasi mai modo di parlare
in
inglese da quelle parti, ma in realtà è preparata e ci racconta tutto
in modo
molto chiaro senza tralasciare l’aggiunta qua e là di qualche pensiero
o parere
personale, come ad esempio l’interpretazione di “berg” nel romanzo
“Cosmo”.
Secondo lei questo termine rappresenta ciò che fai o pensi quando sei
in
compagnia di tanta gente diversa, e tutta questa gente non ha idea di
quello
che stai facendo o pensando.
Usciamo
alle 13.30 molto
soddisfatti, ci offrono il caffè ma siamo affamatissimi per aver
consumato solo
una misera “colazione Lufthansa” alle 7.30. Ci fiondiamo dunque nel
primo
ristorante aperto che si trova sulla statale: un ristorante greco.
Nonostante
sia un ristorante greco tutto all’interno ci fa sentire veramente
nell’Est
dell’Europa. Infondo non siamo mai stati così ad Est.
Subito
dopo una mangiata
abbondantissima, la prima di una lunga serie, partiamo per Białowieża,
al
confine con la Bielorussia. Iniziamo a vedere un gran numero di
cicogne, le
strade sono piene di buchi ma pulitissime e i panorami bellissimi.
Memore
dell’ultimo
viaggio in Germania senza né guide né cartine, che pur essendo stato un
bellissimo viaggio mi ha lasciato la sensazione di essermi persa
qualcosa,
protesto insistentemente con Francesco per lasciar perdere il
navigatore. Oltre
tutto non sopporto di dover dipendere da aggeggi elettronici quando
potrei
farne a meno. D’altra parte abbiamo una utilissima cartina e le strade
sono ben
segnalate. All’inizio è un po’ riluttante ma poi riesco a convincerlo.
L’albergo
prenotato da
Francesco è il Carska, in una vecchia stazione privata fatta costruire
dallo
zar Nicola II. Ci si arriva attraversando due o 3 volte i binari del
treno:
pare che qui in Polonia non si usino molto i passaggi a livello.
Francesco
ha prenotato la
stanza in cima alla torre della stazione, forse era un mulino, oppure
una
cisterna: è una stanza ottagonale con scritte in cirillico sulle travi
di legno
del soffitto e ritratti alle pareti che ricreano l’atmosfera russa “ai
tempi di
Anna Karenina”, come dice lo stesso sito internet dell’albergo.
Al
piano di sotto, in una
stanza della stessa dimensione, si trova il bagno, incredibile con la
sua vasca
centrale appoggiata su zampe di leone, termosifoni giganteschi in ghisa
e
sanitari e rubinetti in stile.
Dalla
finestra si vedono
due treni a vapore tutt’ora funzionanti e scopro con piacere che il
ristorante
è segnalato su tutte le guide come il migliore dei dintorni.
Cena
Anatra
arrosto con salsa di mela e
Cervo
accompagnato con patate cotte col grasso di bisonte e barbabietole
Birra ZUBR
(che vuol dire bisonte)
Cognac
moldavo
Anche
qui, come nella
stanza, non sembra solo di essere in un altro mondo, ma anche in un
altro
tempo.
Chiediamo
cosa sia la
musica di sottofondo durante la cena: è Zhanna Bichevskaya, una
cantante
popolare moscovita del 1944.
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Giovedì
- Foresta primordiale di Polonia e Bielorussia
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Ci
svegliamo di buon ora
ma non ci alziamo fino alle 9. Da come ci hanno risposto al Carska la
colazione
non si può avere prima di quest’ora.
Ci
fanno accomodare in
una stanzetta microscopica, come una piccola cucina con una stufa che
sembra
tagliata a metà. La colazione è pantagruelica a dir poco: affettati,
formaggi,
insalata caprese, pane e marmellata di lamponi, burro servito a
riccioli su un
piatto e poi uova e pancetta per Francesco, frittelle di mele per me.
Di certo
non avremo problemi a scegliere dove pranzare, probabilmente non ci
verrà fame
neanche a cena.
Ci
dirigiamo subito verso
l’entrata del parco naturale di Białowieża: Francesco aveva provato a
contattarne l’ufficio turistico PTTK via e-mail per prenotare una
visita
guidata, unico modo per poter accedere alla foresta, ma non ci aveva
risposto
nessuno.
Per
fortuna
l’organizzazione del parco è sorprendente e dopo solo mezz’ora ci
troviamo tra
alberi secolari con Agata, una guida competentissima che parla
perfettamente
italiano. Agata e il marito Adam fanno entrambi le guide turistiche, e
lei
spesso accompagna in Italia i turisti dei viaggi organizzati. Ad
esempio ora è in
partenza con un gruppo per Roma in occasione della beatificazione di
papa
Giovanni Paolo II.
Facciamo
una gita molto
rilassante di 3 ore per 160 sloti, con la guida solo per noi. Non
riusciamo a
vedere il famoso bisonte europeo che popola questi luoghi. Non che ci
sperassimo, a dire la verità, dato che si fanno vedere, comunque
raramente, ma
più che altro in inverno. Al ritorno Adam ci dà un passaggio fino al
parcheggio.
Per
vedere un bisonte
l’unica cosa da fare è andare a visitare una riserva lì vicina…
cerchiamo poi
di vedere dove si trova il confine con la Bielorussia aspettandoci una
sbarra,
una dogana o qualcosa del genere, ma la strada è interrotta 4 km prima
con un
minaccioso cartello di divieto di accesso.
Dopo
un riposino in
albergo e il tentativo fallito di andare a vedere il “Klub U Wołodzi”,
bar
famoso perché il proprietario è un collezionista di oggetti militari
russi,
decidiamo cenare di nuovo nel nostro albergo.
Questa
volta ci mettono
in una sala con un tavolo da 12 persone tutto per noi. La stanza è
ricoperta di
pelli d’orso e animali imbalsamati appesi alle pareti. La
simpaticissima
cameriera ci accende anche il camino.
Qui
alla fine qualche
parola in inglese la sanno tutti, molto più di quanto accade nel nord
della
Germania o nella ex Germania Est.
Cena
Zuppa
dello Zar e zuppa
di pesce con un goccio di vodka
Un
bicchierino di vodka
russa
Pierogi
(ravioli) alla
ricotta e kopitka (gnocchi)
Birra
ZUBR
Cognac
moldavo
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Venerdì
- Da Białowieża a Lublin
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Dopo
una colazione
indimenticabile, e se possibile ancora più abbondante di quella
precedente,
siamo partiti per Lublino.
Abbiamo
colmato una
nostra lacuna: ci sono molti paesi con due cimiteri, uno di fronte
all’altro.
Ad un certo punto decidiamo di fermarci a verificare e notiamo che le
croci nei
due cimiteri sono un po’ diverse. In uno dei due cimiteri infatti,
presupponiamo quello ortodosso, molte croci sono sbarrate come la elle
di
Białowieża.
Arriviamo
abbastanza
presto all'hotel Palac Akropol nell’hinterland Lublinese. E’ veramente
brutto.
Io brontolo un bel po’ per il fatto che non costa poco e sembra che i
fumi
della cappa della cucina sottostante vengano automaticamente dirottati
nella
nostra stanza. Inoltre l’antipatica receptionist, nonostante siamo gli
unici
clienti di tutto l’albergo, ci dà la stanza che si affaccia
direttamente sulla
statale 17 di Lublino.
Per
di più chiediamo
qualche cartina o informazione sulla città e ci rispondono che dato che
c’è
internet WI-FI possiamo cercarcele lì le informazioni che ci servono.
Per
fortuna invece
Lublino è bellissima, sembra il paese dei nani, tutta in leggera salita
e
discesa. La cosa buffa è che il castello si trova più in basso della
città!
Ciò
che colpisce è il
profumo di fiori quasi frastornante e tutti quei locali mondani e
moderni in
case d’epoca con l’intonaco scrostato.
Qualunque
cosa vogliamo
vedere è chiusa, e lo sarà anche nei giorni successivi. Abbiamo capito
che qui
quando è Pasqua è Pasqua, e non c’è turismo che tenga.
Gli
unici luoghi
affollati sono le chiese. A volte ci sono addirittura i fedeli in
ginocchio
fuori che tendono l’orecchio per ascoltare la messa che si svolge
all’interno.
Abbiamo
dimenticato
l’adattatore elettrico e Francesco va a chiedere in un internet point
all'interno di un cortile appena fuori dalla zona pedonale della città
vecchia.
Il proprietario, gentilissimo, fa almeno tre telefonate per
procurarglielo.
Al
ritorno in albergo per
un riposino sembrava avessero cucinato crauti all'aceto nella nostra
già triste
stanza. Se mai ci avesse preoccupato il fatto che a Lublino sembra di
vivere in
una favola, direi che questo ci ha riportati bruscamente alla realtà.
Decidiamo
di lasciare
l’albergo domani mattina, anche se erano previste due notti, e
prenotiamo a
prezzo uguale, se non inferiore, una stanza piccola ma accogliente al
Grand Hotel
Lublinianka (tutta un’altra cosa!).
Ceniamo
in ristorante
qualunque nel centro storico di Lublino, ma per raggiungerlo dobbiamo
fare
almeno due tappe della via crucis insieme ad una gran folla che occupa
completamente la strada principale. Mangiamo la tartare alla russa: è
fantastica e a differenza della nostra carne cruda battuta al coltello
alla
piemontese ha il rosso dell'uovo crudo appoggiato sopra, l'erba
cipollina e la
salsa al rafano, che è la morte sua. Beviamo birra Zywiec, molto buona.
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Sabato
- Majdanek, Włodawa, Sobibor e Chełm
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Ci
svegliamo con le
valigie già chiuse per evitare che i vapori della cucina impregnino i
vestiti senza
speranze, e facciamo colazione in compagnia dei miasmi di un camion che
proprio
in questo momento è venuto a svuotare le fogne dell’albergo. Fuggiamo
al più
presto e trasferiamo i bagagli al Grand Hotel Lublinianka.
La
tappa successiva è Majdanek.
Già la sua vista dalla strada è un’esperienza agghiacciante perché ti
permette
di abbracciarlo completamente con un solo sguardo. E’ mattina presto e
il
parcheggio è vuoto fatta eccezione per un’improponibile automobile
rossa piena
di scritte: la nostra, davvero inappropriata per questo luogo.
Il
KonzentrationLager Lublin ci ha impressionati sia per la sua
vicinanza
alla città, sia per quanto è rimasto intatto. Tutto è reso ancora più
suggestivo dal fatto che è completamente deserto. Solo alcuni
grossissimi corvi
lo sorvolano incessantemente, e l’unico rumore che si sente è il vento
che
sbatte i nastri rossi e bianchi che delimitano alcune aree: sarà sempre
così
desolato, o è perché è Pasqua?
Ci
colpiscono le scarpe
dei prigionieri accatastate in una baracca, soprattutto quelle da
donna, con i
tacchi alti, belle ed eleganti che fanno pensare che chi le aveva
indossate,
magari in un mattino come un altro, certo non avrebbe immaginato di
utilizzarle
per raggiungere un tale luogo.
Quando
torniamo al
parcheggio vediamo che è pieno di auto. Ma dove sono tutti? Ecco
scoperto
l’arcano: di fianco a Majdanek c’è un cimitero piuttosto grande gremito
di
gente che porta fiori e pacchetti. Ci chiediamo se in Polonia sia
d’abitudine
andare a trovare i morti a Pasqua: in effetti in questi giorni tutti i
cimiteri
che abbiamo visto erano pieni di fiori: saranno sempre così o è perché
è Pasqua?
Partiamo
per Włodawa,
paesino di frontiera con la Bielorussia che ha la caratteristica di
avere nel
raggio di trecento metri una sinagoga (o meglio ex-sinagoga), una
chiesa
ortodossa, una cristiana e un fiumiciattolo che segna il confine
naturale con
la Bielorussia.
La
signora dell’ufficio
turistico, che guarda caso parla italiano, ci vende una cartina che ci
conferma, con nostra grande soddisfazione, che a parte questi tre
luoghi di
culto e il fiume non c’è altro. In effetti eravamo proprio andati fin
lì in
cerca del nulla.
Ci
basta passeggiare per
queste vie per qualche minuto per sentirci in un altro mondo: è semi
deserto, e
alle case antiche si affiancano casermoni in stile sovietico che ci
ricordano i
film di Krzysztof Kieślowski.
Attira
la nostra attenzione
un austero edificio costruito nello stesso stile, con l’insegna al neon
rossa
“Kino”. Qui c’è qualcosa di esteticamente stonato: in programma ci sono
film
americani o, a giudicare dalle locandine, commediole locali leggere o
addirittura sexy.
Percorriamo
anche la
strada sterrata che costeggia il fiume: dalla parte polacca il terreno
è diviso
in piccoli fazzoletti coltivati e curati da anziani signori, forse in
pensione.
Ogni orticello ha la sua baracca, i suoi vasi di fiori, le sue sedie
sdraio con
un tavolino. Dall’altra parte del fiume c’è la foresta Bielorussa, fra
i cui
alberi secolari non si intravede nemmeno lontanamente traccia della
presenza
umana.
Scendiamo
verso Chełm con
l’intenzione di fermarci a Sobibor. Passato il paese “Sobibor” facciamo
un bel
po’ di chilometri di una strada bellissima in mezzo agli alberi senza
sapere
esattamente come raggiungere i luogo dove si trovava il campo di
sterminio.
Solo dopo svariate decine di minuti troviamo una piccola indicazione di
svolta
a destra con scritto Muzeum e Sobibor Kol. 5 km.
La
strada indicata è
sterrata e interminabile, ma meravigliosa, immersa nella foresta. Al
termine di
essa ci troviamo in un paesino irreale diviso in due da un paio di
coppie di
binari che sembrano quelli di un treno fantasma del far west. Tanto per
cambiare è tutto quasi deserto, l’unico rumore è quello del vento.
Al
contrario di Majdanek
qui non è rimasto nessun segno di ciò che è stato perché i tedeschi a
suo tempo
hanno fatto sparire tutto occupandosi anche di piantare gli alberi per
cancellare meglio ogni traccia. Questo tuttavia non rende il luogo meno
inquietante! Ora ci sono degli scavi in atto, un monumento alla memoria
e una
strada con pietre commemorative costruita sulle tracce di quella che
facevano i
condannati a morte per raggiungere le camere a gas.
Davvero
uno scenario
irreale: la cosa angosciante è che questo era un campo finalizzato
esclusivamente allo sterminio, insieme a Treblinka e Bełżec, e vi erano
quasi
solo ebrei. Ne venivano mantenuti in vita solo pochi al fine di far
fare loro i
lavori più sporchi e pesanti. Questi ultimi, perfettamente coscienti di
ciò che
accadeva nel campo, cercavano di mettere al corrente i condannati a
morte di
cosa li aspettava. Tuttavia questi preferivano credere ai tedeschi,
loro
aguzzini, che sostenevano che i prigionieri erano lì per essere
disinfettati,
vestiti con delle divise tutte uguali per evitare discriminazioni e poi
mandati
in Ucraina per lavorare.
Pare
però che Sobibor rappresenti
l’unico campo di concentramento in cui sia andata a buon fine una
rivolta dei
prigionieri, dei quali almeno metà riuscirono a fuggire nei boschi. Pare che di essi circa 50 siano sopravvissuti
alla guerra.
Ripartiamo
ma ci fermiamo
subito dopo la fine della strada sterrata perché Francesco ha mal di
testa e
vuole dormire una decina di minuti. Non passa praticamente nessuno
sulla 816
per Chełm, tranne un trattore che guarda con curiosità la nostra auto
alquanto
vistosa ferma sul ciglio della strada. Non ha nemmeno l’autoradio:
Francesco
aveva comprato il Trio N.4 "Dumky" di Dvorak che avrebbe dovuto
diventare
la colonna sonora del viaggio.
A
Chełm facciamo un giro
veloce perché siamo troppo stanchi. E’ tutto deserto anche qui, sono
tutti
nella chiesa Piarista ad assistere ad una messa dietro l’altra. Messe a
cottimo, ci diciamo divertiti. Riusciamo, solo di sfuggita, a
intravedere al
suo interno gli affreschi di Paolo Fontana tra la fine di una e
l’inizio della
successiva.
Chełm
è la città delle
barzellette sugli ebrei, il Rabbino Nachman di Bratislava, a cavallo
tra il
XVIII e il XIX secolo, narra che gli uomini ebrei di Chełm usavano
disperdere
in giro per casa le unghie e i calli di mani e piedi, e che bambini e
anziani
facevano lo stesso con i denti.
Le
donne ebree di Chełm,
il cui compito era quello di garantire l’igiene della casa e di curare
il
risparmio, infastidite andarono a consultare il rabbino capo. Dopo un
po’ di
considerazioni quest’ultimo decise di rivolgersi alla comunità maschile
di
Chełm durante la celebrazione del sabato e sentenziò:
“Dato
che le nostre donne, come prescrive la tradizione, diligentemente si
prodigano
per tenere puliti gli ambienti in cui viviamo, e dato che le nostre
unghie
bruciano facilmente, mentre i nostri denti sono fatti di buon avorio,
garantito
direttamente dall'Eccelso (sia sempre lodato il Suo Nome), vi ingiungo
di
raccogliere sempre unghie e calli e di utilizzarli per alimentare il
fuoco in
modo da risparmiare prezioso combustibile.
Inoltre
ingiungo ad anziani e bambini di raccogliere ogni dente e di portarlo
all'orefice
della città che lo valuterà un copeco. Vedrete che questa pratica sarà
per
tutti noi portatrice di indubbi benefici, sia perché le nostre donne
sono
dotate ... ehm ... di scope robuste, sia perché un risparmio ed un
copeco in più
fa comodo a tutti, sia perché sottrarremmo materia prima dei nostri
corpi ai
fattucchieri gentili. Oltretutto, o amici miei, abbiamo da rispettare
l'indicazione
della Thora che dice: polvere eravate e polvere ritornerete ... e, come
ben
sapete e' meglio cominciare con parti inutili del nostro corpo che
ricrescono
in continuazione, che non con parti utili che non ricrescono più..”
Adesso
ebrei non credo ce
ne siano molti ma la città è amena e colorata. Francesco rimane
infastidito da
un negozio di scarpe che gli fa venire in mente la baracca di Majdanek.
La
sinagoga barocca si trova in un edificio perfettamente ristrutturato e
al piano
terreno ci hanno messo un ristorante texano.
Rientrando
a Lublino ci
rendiamo conto che i palazzoni stile sovietico così colorati diventano
quasi
piacevoli, forse anche grazie alle giornate di sole sfolgorante e aria
secca e
leggera che fino ad ora stanno accompagnando il nostro viaggio.
La
cena in un ristorante
turistico nel centro di Lublino si può anche dimenticare, tranne per
quanto
riguarda dei curiosi “tortellini” in brodo ripieni di carne e
maggiorana.
Nonostante la quantità spropositata di aglio li abbiamo trovati davvero
buoni.
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Domenica
- Da Lublin a Varsavia passando per Nałęczow
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Dopo
una buona colazione
facciamo una passeggiata in Lublino, sperando di riuscire a vedere
almeno i
meravigliosi affreschi della cappella della S.S Trinità all’interno del
castello. Ma è Pasqua. Inoltre ha iniziato a piovere.
Riprendiamo
dunque la
macchina e passiamo a dare un’occhiata al vecchio cimitero ebraico,
coscienti
del fatto che avremmo dovuto chiamare il giorno prima ma speranzosi di
riuscire
per lo meno a “sbirciare” dall’ingresso. Non ci riusciamo, e partiamo
dunque
per Varsavia.
Passando
da Nałęczow
veniamo attirati da un’enorme folla intorno ad una strana chiesa di
legno,
diversa da qualunque edificio visto fino ad ora in Polonia. Anche le
ville
intorno alla chiesa sono così: in legno scuro, con decorazioni che
sembrano in
stile Liberty e posizione dominante su una collina delle più ripide
viste fino
ad ora. Sembra di essere in Svizzera, o comunque in qualche località
montana.
Parcheggiamo
e decidiamo
di fare due passi e subito mi sento catapultata nel film “Oči čërnye”
(Oci
Ciornie).
L’ho
visto secoli fa, e
l’avevo completamente dimenticato: è un film diretto da Nikita Sergeevič Michalkov,
ispirato ad alcuni racconti di Anton Čechov.
Molte sequenze si svolgono all’interno del
centro termale di Montecatini all’inizio 900 e questa città , piena di
cliniche
e di SPA disseminate in un meraviglioso parco con laghetti, viali,
alberi e
giardini, sembra proprio rimasta cristallizzata in quel periodo
storico. Non mi
stupirei se vedessi qualche signora con cappello e veletta…
Facciamo
anche una tappa
a Kazimierz Dolny, ma, a parte la curiosità che mi suscitano gli
abitanti che
ci permettono di parcheggiare la tua auto nel loro giardino per 5 sloti
non ci
piace perché troppo turistica. Il nostro parcheggiatore non rinuncia a
fare
qualche battutina sulla nostra auto: “What happened to your car? An
accident?”.
E’
anche buffo che in un
bar ci servano un caffè Vergnano! Andiamo in Polonia per bere il caffè
che
tostano a cinquecento metri da casa nostra. Mentre ci dirigiamo a
Varsavia
incontriamo il cimitero ebraico della città, suggestivo in mezzo al
bosco, e
sormontato da un grosso muro spezzato in due costruito con le lapidi
distrutte
dai tedeschi.
Arriviamo
a Varsavia da
un ponte sospeso, il most Świętokrzyski, e rimaniamo da subito
affascinati.
L’albergo,
il Sofitel Victoria,
è stralussuoso, e paghiamo davvero poco per la nostra sistemazione: una
suite
con tanto di ufficio privato, macchinetta del caffè Nespresso con
cialde,
stanza spaziosa e letto comodo. Anche la piazza in cui si trova è
davvero
affascinante per le sue grandi dimensioni.
Nei
giorni successivi
scopriamo che a mezzogiorno fanno qui il cambio della guardia davanti
al
monumento al Milite Ignoto. Inoltre è in un punto strategico tra la
città
vecchia e quella nuova, a 200 metri dal Kucharzy, dove abbiamo
intenzione di
cenare, e soprattutto vicino al cafe Blikle, dove faremo presto
conoscenza con
i famosi pączki.
Quando
usciamo piove
ancora e riesco solo a fare qualche foto a Plac Zamkowy con il selciato
bagnato
prima di andare a mangiare al “Delicja Polska”. E’ un ristorante nella
Krakowskie
Przedmieście un po’ caro e pretenzioso, ma lo stinco di agnello è
davvero
notevole. Ce l’ha consigliato il concierge, dato che il Kucharzy è
chiuso fino
a martedì. E’ Pasqua.
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Lunedì
- Varsavia e l’insurrezione
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Sono
bastati 15 minuti
per capire che avremmo dovuto passare tutta la settimana qui a
Varsavia.
Abbiamo iniziato a fare l’elenco delle persone che ci dicevano “La
Polonia? Si,
Cracovia… ma Varsavia non è granché, è proprio bruttina, piena di
palazzoni…”,
ma l’hanno vista?
Dopo
una fantastica
colazione in albergo con ogni tipo di torte, marmellate, pane bianco e
nero,
frutta fresca e secca, mousse, yoghurt e nutelle artigianali,
croissant,
brioche di ogni genere, affettati, formaggi francesi ecc, ci dirigiamo
alla
città vecchia per acquistare una carta turistica che, a dire della
guida,
avrebbe dato diritto anche a tutti i mezzi pubblici gratis.
Il
ragazzo dell’ufficio
turistico ci rimbalza ad un altro ufficio e quando gli chiediamo il
nome
preciso di questa carta, lui ci risponde con una stretta di spalle:
“Yes, you
can call it tourist card”.
Purtroppo
la Pasqua ci
perseguita, è come al solito tutto chiuso e rinunciamo.
Prendiamo
il tram 13
sotto Plac Zamkowy e come prima cosa ci rinchiudiamo per ore
nell’interessantissimo
Museo dell’Insurrezione.
Davvero
esaustivo,
bisognerebbe vederlo a rate, magari tornandoci per due o tre giorni di
seguito
perché è davvero sconfinato. Ci rimane una forte curiosità riguardo ad
un
accenno che troviano nella parte finale riguardo alla serie polacca TV
“Czterej
pancerni i pies” (Quattro carristi e un cane), abbiamo fatto
un po’ di
ricerche: è una serie TV nata nel ’66, diretta da Konrad
Nałęckiego e
basata sul romanzo scritto da da Janusz Przymanowskiego,
adattato dallo
stesso autore.
La
storia narra le
avventure dell'equipaggio del carro armato Rudy e del
cane Gabby durante la seconda guerra
mondiale. Gli eroi della
serie fanno parte della prima armata polacca, che era un esercito
creato in Russia
nel 1944: i ranghi inferiori erano formati dai polacchi deportati in
Russia
dopo l’acquisizione della Polonia orientale a seguito del patto
Ribbentrop-Molotov, mentre quelli superiori erano sovietici. Era
praticamente
un esercito russo travestito da esercito polacco.
La
serie TV aveva lo
scopo di fare propaganda sovietica, e insegnò ad un gran numero di
bambini
polacchi una realtà distorta per perseguire gli obiettivi del regime
sovietico tra
cui il principale era quello di mettere in cattiva luce tutti coloro
che avevano
lottato per l’indipendenza polacca e farli passare per ribelli.
Tuttavia
ebbe un enorme
successo. Nel 2006, dopo numerosissime proteste, soprattutto da parte
dei
veterani dell’indipendenza, fu tolta dal palinsesto televisivo, ma i
diritti
furono comprati da un’altra emittente polacca, la Kino Polska, e fu
rimessa in
onda nel 2007. Ancora nel 2008 l’emittente TVP Historia la mise in onda
con un
commento che spiegava eventuali discrepanze con la realtà dei fatti
storici
accaduti.
Insisto
per tornare a piedi
per riavermi da tutta quell’oscurità e da tutti quei rumori, e passiamo
quasi
per caso nella ulica Próżna, con i suoi edifici decadenti,
impressionanti
accanto agli altri, puliti e ristrutturati, che stanno loro intorno.
Da
lì facciamo un lungo
giro intorno a una grande parte transennata per lavori per trovare la
sinagoga
Nożyk e poi l’ultimo frammento del muro del ghetto che intravediamo da
un
cortile di un liceo in ulica Sienna 55.
Distrutti
dalla camminata
attraversiamo a piedi sotto un viadotto e ci troviamo dentro la
stazione
centrale.
Proseguiamo
per la Aleje
Jerozolimskie e arriviamo nella bellissima Nowy Świat. La percorriamo
tutta,
fino al cafe Blikle, fino a quando cambia nome e diventa Krakowskie
Przedmieście e infine fino a ulica Romualda Traugutta dove giriamo a
sinistra
e, finalmente, siamo arrivati in albergo.
Ci
riposiamo un po’
perché stasera ci aspetta il Rocky Horror Show all’Och teatr. Francesco
ha
comprato i biglietti perché un musical Inglese, che per di più
conosciamo a
memoria, è una delle poche cose che potevamo permetterci di vedere a
teatro
capendoci qualcosa.
Andiamo
in taxi. Appena
inizia lo spettacolo ci accorgiamo che è tradotto tutto in polacco,
persino le
canzoni… in realtà questo lo rende ai nostri occhi molto divertente, e
usciamo
molto soddisfatti.
Ceniamo
in un pub, il
Leżaki, in ulica Piwna 48. C’è della bella musica, su uno schermo LCD
proiettano il concerto di un gruppo rock. Sembra un video degli anni
’70, ma
non riusciamo a capire il nome del gruppo. Dietro il palco c’è scritto
Riviera
Remont, che scopriamo essere un locale di Varsavia.
Li
troviamo su Wikipedia:
sono i Dżem, che si pronuncia come “jam” in inglese. Il primo nome del
gruppo
era Jam, ma qualcuno lo scrisse sbagliato, Dżem, così come si sarebbe
scritto
in polacco, e così divennero i Dżem. Il concerto che abbiamo visto è
sicuramente più recente di quanto pensassimo (forse del 1991?), dato
che la
loro prima canzone risale al 1985.
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Martedì
- I pączki e il ghetto ebraico
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Oggi
niente colazione in
albergo, ci svegliamo presto perché dobbiamo riconsegnare l’auto, che
tra le
altre cose abbiamo pure dovuto far lavare in albergo perché la pulizia
non era
compresa nel prezzo. Avevamo l’appuntamento per la consegna al Radisson
Blu,
dove avremmo dovuto alloggiare per questi nostri giorni a Varsavia. In
realtà
abbiamo cambiato idea all’ultimo momento e non abbiamo potuto cambiare
il luogo
dell’appuntamento con la ROFAG.
Il
ragazzo stavolta è
puntualissimo, controlla l’auto con flemmatica perizia e sollevati
salutiamo
per l’ultima volta quel coloratissimo mezzo di trasporto.
Ci rechiamo al cafe Blikle, dove dopo una colazione
Varsaviana notevole ordiniamo anche un paczki da dividere in due.
Finalmente
possiamo
vedere Varsavia in un giorno lavorativo, con la gente che va e viene
per strada
e tutti i negozi aperti! Ma l’atmosfera sembra mille volte meno
frenetica di
quanto siamo abituati a vedere a Milano e Torino.
Volevamo
entrare al museo
di Chopin, ma apre solo alle 12.00, quindi a piedi raggiungiamo
l’edificio in
costruzione del museo della storia degli ebrei polacchi, curioso perché
per ora
appare come un parallelepipedo con una specie di squarcio da un lato.
Sembra
che all’interno vi
saranno una zona allestita come una foresta, e una come una via di
Varsavia.
Seguiamo l’itinerario segnalato dai vari monumenti nell’ex ghetto, come
quello
che si trova dove partivano i treni per Treblinka. Lì un ebreo con
tanto di
boccoli ci chiede qualcosa in una lingua incomprensibile, poi traduce
in inglese:
“Are you juish?”.
Noi
allarghiamo le
braccia e diciamo di no. Raggiungiamo con una bella camminata lungo la
Stawki
il cimitero ebraico ma è chiuso. Prendiamo così il tram 22 che ci porta
all’inizio della Nowy Świat. Altri due paczki sulla via dell’albergo.
Ci
riposiamo un po’, poi
entriamo al museo di Chopin, molto tecnologico ma un po’ caotico.
Francesco si
stufa un po’ perché ha letto un libro intero su di lui e conosce già
tutti i
dettagli della sua vita. Forse per lui è piacevole giusto il fatto di
poter
dare un volto a tutti i personaggi del compositore, e soprattutto a
George
Sand. A dire la verità il fatto di sentire tante musiche confuse una
con
l’altra non ci piace moltissimo.
A
cena ci attende una
prenotazione al Kucharzy, molto carino e movimentato. Lo chef prepara
davanti
ai nostri occhi un’ottima tartare, ed è carina anche l’ambientazione:
pare di
mangiare in una enorme cucina con pavimenti bianchi e neri e mattonelle
bianche
lucide messe, spesso un po’ storte, sulle pareti.
Dato
che è l’ultima sera
che siamo qui per consolarci andiamo a cercare un Jazz club che era un
vecchio
negozio di dischi nella città vecchia. Sembra chiuso da anni, e
probabilmente
lo è davvero: anche se siamo stanchi, torniamo al pub Leżaki a bere una
birra.
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Mercoledì
- Il cimitero ebraico e ritorno a casa
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Oggi
è l’ultimo giorno.
Lasciata a malincuore la stanza alle 10.00, con tutta calma perché la
giornata
fino alla partenza dell’aereo alle 20.20 è ancora lunga, facciamo di
nuovo
colazione al cafe Blikle, poi prendiamo il 22 in senso contrario
rispetto a
ieri e arriviamo al cimitero ebraico. Il posto, all’interno delle mura
di
cinta, è molto suggestivo e tranquillo, nonostante si trovi su un
vialone enorme.
Incappiamo per caso nella tomba di Marek Edelman, morto nel 2009.
Ci
rendiamo conto di non
aver nemmeno visto la Vistola, se non di sfuggita dal most
Świętokrzyski il
giorno del nostro arrivo, e decidiamo di prendere il tram 1 che ci
porta al
most Gdański, il ponte vicino alla cittadella. Varsavia non sembra una
città
sul fiume come Parigi o Londra o Praga, ma una città che sorge vicino a
un
fiume.
L’acqua,
che in queste
ultime città è un elemento determinante per il loro aspetto estetico e
urbanistico, a Varsavia sembra non far parte della città, anzi sembra
dividerla
in due. Il quartiere al di là della Vistola, che purtroppo non abbiamo
avuto
tempo di vedere, sembra far parte di un’entità a
se stante, come fosse un’altra città.
Forse
questo è l’unico
neo che rileviamo, a fronte di una visita così breve.
Rientriamo
a piedi nella
città vecchia passando da ulica Freta, che avevamo visto solo ieri di
sfuggita
mentre cercavamo il Jazz Club Helicon. Ci sediamo in un bar all’aperto
nella
piazza (Rynek Starego Miasta) a prendere un caffè.
I
camerieri ci fanno un
po’ arrabbiare, perché prima ci dicono che prendono la carta di
credito, poi
non la vogliono prendere e Francesco si fa una camminata lunghissima
per
trovare un bancomat e ritirare.
Un
po’ seccati ce ne
andiamo, e decidiamo di andare a dare ancora un’occhiata al centro
finanziario
della città, anche perché io ci tenevo a fare almeno un giretto in
metropolitana prima di ripartire. Facciamo giusto due fermate, da
Ratusz a
Centrum.
La
cosa incredibile è che
Varsavia fino ad ora non ci è sembrata una città troppo caotica e
affollata, ma
la metropolitana lo è eccome! Sembra che tutta Varsavia sia concentrata
dentro
il dedalo di sottopassaggi di queste fermate sotterranee!
Diamo
un’occhiata ai
centri commerciali vicino al Palazzo della Cultura e della Scienza. Gli
abitanti di Varsavia affermano che la vista più bella della città sia
quella
dall’alto di questo palazzo perché è l’unico punto da cui non si vede
il
palazzo stesso, ma quello che pensiamo noi è che infondo questo palazzo
non è
così brutto, nel suo genere… probabilmente ciò che davvero dà fastidio
di
questa costruzione è il significato che ha, più che l’aspetto estetico.
La
sua austerità e
simmetria affiancata a grattacieli di vetro tondeggianti o parzialmente
sospesi
su sottilissime colonne come funamboli per me mantiene comunque un
certo
fascino. E’ un po’ come se Varsavia fosse tante città diverse: quella
un po’
nostalgica con le stradine pedonali che guarda verso il passato e
ricostruisce
le sue vie distrutte sulla base delle viste del Bellotto, quella
sovietica
imponente e squadrata, che vuole avere tutto sotto controllo e quella
supertecnologica che guarda verso il futuro, con i ponti sospesi, i
grattacieli, i palazzi con gli squarci e i centri commerciali.
Ogni
volta che giri un
angolo ti appare una di queste città, a sorpresa, non sai mai quale
sarà, ma
tutte convivono in modo armonioso.
Francesco
non è d’accordo
su questo: per lui la città che guarda al futuro è proprio quella
capace di
prendere le viste di Bellotto e, a partire a da quelle, ricostruirla
identica a
come era prima. Forse non
ha tutti i torti.
Ci
infiliamo in una
libreria per cercare la versione spagnola di Fredydurke, che mi
piacerebbe
leggere, ma non la troviamo. Sarà la sesta libreria in cui chiediamo!
Ce la
compreremo su Bol!
Ci
ritroviamo così nella
ulica Chmielna piena di negozi, raggiungendo, molto prima di quanto ci
aspettassimo, la nostra preferita Nowy Świat che percorriamo per
l’ultima volta
per raggiungere l’albergo dove ci aspetta un taxi.
Nella
hall c’è gran
fermento di fotografi e giornalisti, ma quando chiediamo al concierge
se ci sia
qualche personaggio importante in arrivo ci risponde in modo un po’
snob che
c’è un cliente che deve ricevere delle interviste: “nothing unusual”.
Ci
accompagna in
aeroporto un tassista scorbutico fino all’inverosimile. E’ fantastico
volare su
un volo di linea normale, dove non hai il problema di trascinarti fin
dentro
l’aereo l’odioso trolley: mentre aspettiamo di imbarcare i bagagli tiro
fuori
dalle valigie i libri da leggere in aereo (“Vado a vedere se di là è
meglio”
per me e il “Diario” di Gombrowicz per Francesco) e uno steward
Lufthansa che
era lì a controllare le carte di imbarco esclama: “Ah, Gombrowicz, I
love him,
for me his best novel is Cosmo”.
Chiudiamo
così in
bellezza, anche se molto a malincuore il nostro meraviglioso viaggio in
Polonia.
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Marta
Cardinale
e Francesco Prestia © 2013
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