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PRIMO VIAGGIO IN POLONIA

Prime impressioni su questo paese

Mercoledì - Da Wsola a Białowieża

Arriviamo a Varsavia alle 8.50. Secondo gli accordi con la ROFAG dovrebbe attenderci un loro addetto all’uscita dell’aeroporto con un cartello con scritto sopra il nostro nome per consegnarci l’auto che abbiamo preso in affitto. Ci piace questa idea del cartello e di essere in qualche modo attesi da qualcuno in un paese sconosciuto.

 

In realtà il nostro “contatto” a Varsavia è in ritardo, ci chiama con difficoltà perché non parla inglese e arriva dopo più di un’ora con una Mitsubishi rossa piena di scritte. Ci porta nel suo ufficio nei pressi dell’aeroporto per sbrigare innumerevoli formalità e dopo un tempo che a noi sembra infinito, forse anche perché non vediamo l’ora di iniziare a guardarci intorno, realizziamo con disappunto che quell’auto rossa con tutte le scritte sarà la nostra auto per questa vacanza. Beh, infondo ci doveva pur essere un motivo per cui il prezzo era circa un terzo di quello delle altre compagnie! Alle 11.30 riusciamo ad andarcene da lì e a metterci in strada.

 

La cosa che mi colpisce subito è la miriade di insegne che ricopre le facciate. Da noi non è così, sembra di essere a Tokio, oppure nelle grandi città indiane o sudamericane.

 

Ci dirigiamo immediatamente verso sud, Wsola, per l’esattezza. Abbiamo comunicato il nostro arrivo allo staff del Muzeum Witolda Gombrowicza, che per l’occasione ci ha detto che avrebbe preparato un po’ di documentazione in inglese.

 

Wsola è un paesino molto piccolo, anche senza indirizzo non abbiamo difficoltà a trovare la bellissima casa di Jerzy Gombrowicz, fratello di Witold, sede del museo. Essa è infatti segnalata da un enorme striscione con scritto a caratteri cubitali: “Muzeum Witolda Gombrowicza”.

 

A occhio sembra tutto chiuso, ma si fa avanti un guardiano che ci dice di aspettare. Dopo poco riappare e ci fa entrare: ci viene il dubbio che il museo a quest’ora sia chiuso e che abbiano fatto un’eccezione per noi, che venivamo da così lontano.

 

Ci aspetta Ewa, con cui Francesco era in contatto via e-mail, e addirittura una guida in lingua inglese. Ci viene il dubbio che anche quest’ultima sia lì per noi.

 

Si scusa per le sue difficoltà linguistiche, dicendo che non ha quasi mai modo di parlare in inglese da quelle parti, ma in realtà è preparata e ci racconta tutto in modo molto chiaro senza tralasciare l’aggiunta qua e là di qualche pensiero o parere personale, come ad esempio l’interpretazione di “berg” nel romanzo “Cosmo”. Secondo lei questo termine rappresenta ciò che fai o pensi quando sei in compagnia di tanta gente diversa, e tutta questa gente non ha idea di quello che stai facendo o pensando.

 

Usciamo alle 13.30 molto soddisfatti, ci offrono il caffè ma siamo affamatissimi per aver consumato solo una misera “colazione Lufthansa” alle 7.30. Ci fiondiamo dunque nel primo ristorante aperto che si trova sulla statale: un ristorante greco. Nonostante sia un ristorante greco tutto all’interno ci fa sentire veramente nell’Est dell’Europa. Infondo non siamo mai stati così ad Est.

 

Subito dopo una mangiata abbondantissima, la prima di una lunga serie, partiamo per Białowieża, al confine con la Bielorussia. Iniziamo a vedere un gran numero di cicogne, le strade sono piene di buchi ma pulitissime e i panorami bellissimi.

 

Memore dell’ultimo viaggio in Germania senza né guide né cartine, che pur essendo stato un bellissimo viaggio mi ha lasciato la sensazione di essermi persa qualcosa, protesto insistentemente con Francesco per lasciar perdere il navigatore. Oltre tutto non sopporto di dover dipendere da aggeggi elettronici quando potrei farne a meno. D’altra parte abbiamo una utilissima cartina e le strade sono ben segnalate. All’inizio è un po’ riluttante ma poi riesco a convincerlo.

 

L’albergo prenotato da Francesco è il Carska, in una vecchia stazione privata fatta costruire dallo zar Nicola II. Ci si arriva attraversando due o 3 volte i binari del treno: pare che qui in Polonia non si usino molto i passaggi a livello.

 

Francesco ha prenotato la stanza in cima alla torre della stazione, forse era un mulino, oppure una cisterna: è una stanza ottagonale con scritte in cirillico sulle travi di legno del soffitto e ritratti alle pareti che ricreano l’atmosfera russa “ai tempi di Anna Karenina”, come dice lo stesso sito internet dell’albergo.

Al piano di sotto, in una stanza della stessa dimensione, si trova il bagno, incredibile con la sua vasca centrale appoggiata su zampe di leone, termosifoni giganteschi in ghisa e sanitari e rubinetti in stile.

Dalla finestra si vedono due treni a vapore tutt’ora funzionanti e scopro con piacere che il ristorante è segnalato su tutte le guide come il migliore dei dintorni.

 

 

Cena

Anatra arrosto con salsa di mela e

Cervo accompagnato con patate cotte col grasso di bisonte e barbabietole

Birra ZUBR (che vuol dire bisonte)

Cognac moldavo

 

Anche qui, come nella stanza, non sembra solo di essere in un altro mondo, ma anche in un altro tempo.

Chiediamo cosa sia la musica di sottofondo durante la cena: è Zhanna Bichevskaya, una cantante popolare moscovita del 1944.


Giovedì - Foresta primordiale di Polonia e Bielorussia

Ci svegliamo di buon ora ma non ci alziamo fino alle 9. Da come ci hanno risposto al Carska la colazione non si può avere prima di quest’ora.

 

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Ci fanno accomodare in una stanzetta microscopica, come una piccola cucina con una stufa che sembra tagliata a metà. La colazione è pantagruelica a dir poco: affettati, formaggi, insalata caprese, pane e marmellata di lamponi, burro servito a riccioli su un piatto e poi uova e pancetta per Francesco, frittelle di mele per me. Di certo non avremo problemi a scegliere dove pranzare, probabilmente non ci verrà fame neanche a cena.

 

Ci dirigiamo subito verso l’entrata del parco naturale di Białowieża: Francesco aveva provato a contattarne l’ufficio turistico PTTK via e-mail per prenotare una visita guidata, unico modo per poter accedere alla foresta, ma non ci aveva risposto nessuno.

 

Per fortuna l’organizzazione del parco è sorprendente e dopo solo mezz’ora ci troviamo tra alberi secolari con Agata, una guida competentissima che parla perfettamente italiano. Agata e il marito Adam fanno entrambi le guide turistiche, e lei spesso accompagna in Italia i turisti dei viaggi organizzati. Ad esempio ora è in partenza con un gruppo per Roma in occasione della beatificazione di papa Giovanni Paolo II.

 

Facciamo una gita molto rilassante di 3 ore per 160 sloti, con la guida solo per noi. Non riusciamo a vedere il famoso bisonte europeo che popola questi luoghi. Non che ci sperassimo, a dire la verità, dato che si fanno vedere, comunque raramente, ma più che altro in inverno. Al ritorno Adam ci dà un passaggio fino al parcheggio.

 

Per vedere un bisonte l’unica cosa da fare è andare a visitare una riserva lì vicina… cerchiamo poi di vedere dove si trova il confine con la Bielorussia aspettandoci una sbarra, una dogana o qualcosa del genere, ma la strada è interrotta 4 km prima con un minaccioso cartello di divieto di accesso.

 

Dopo un riposino in albergo e il tentativo fallito di andare a vedere il “Klub U Wołodzi”, bar famoso perché il proprietario è un collezionista di oggetti militari russi, decidiamo cenare di nuovo nel nostro albergo.

 

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Questa volta ci mettono in una sala con un tavolo da 12 persone tutto per noi. La stanza è ricoperta di pelli d’orso e animali imbalsamati appesi alle pareti. La simpaticissima cameriera ci accende anche il camino.

Qui alla fine qualche parola in inglese la sanno tutti, molto più di quanto accade nel nord della Germania o nella ex Germania Est.

 

 

 

 

 

 

Cena

Zuppa dello Zar e zuppa di pesce con un goccio di vodka

Un bicchierino di vodka russa

Pierogi (ravioli) alla ricotta e kopitka (gnocchi)

Birra ZUBR

Cognac moldavo

 

Venerdì - Da Białowieża a Lublin

Dopo una colazione indimenticabile, e se possibile ancora più abbondante di quella precedente, siamo partiti per Lublino.

 

Abbiamo colmato una nostra lacuna: ci sono molti paesi con due cimiteri, uno di fronte all’altro. Ad un certo punto decidiamo di fermarci a verificare e notiamo che le croci nei due cimiteri sono un po’ diverse. In uno dei due cimiteri infatti, presupponiamo quello ortodosso, molte croci sono sbarrate come la elle di Białowieża.

 

Arriviamo abbastanza presto all'hotel Palac Akropol nell’hinterland Lublinese. E’ veramente brutto. Io brontolo un bel po’ per il fatto che non costa poco e sembra che i fumi della cappa della cucina sottostante vengano automaticamente dirottati nella nostra stanza. Inoltre l’antipatica receptionist, nonostante siamo gli unici clienti di tutto l’albergo, ci dà la stanza che si affaccia direttamente sulla statale 17 di Lublino.

 

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Per di più chiediamo qualche cartina o informazione sulla città e ci rispondono che dato che c’è internet WI-FI possiamo cercarcele lì le informazioni che ci servono.

 

Per fortuna invece Lublino è bellissima, sembra il paese dei nani, tutta in leggera salita e discesa. La cosa buffa è che il castello si trova più in basso della città!

 


Ciò che colpisce è il profumo di fiori quasi frastornante e tutti quei locali mondani e moderni in case d’epoca con l’intonaco scrostato.

 

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Qualunque cosa vogliamo vedere è chiusa, e lo sarà anche nei giorni successivi. Abbiamo capito che qui quando è Pasqua è Pasqua, e non c’è turismo che tenga.

 

Gli unici luoghi affollati sono le chiese. A volte ci sono addirittura i fedeli in ginocchio fuori che tendono l’orecchio per ascoltare la messa che si svolge all’interno.

 

Abbiamo dimenticato l’adattatore elettrico e Francesco va a chiedere in un internet point all'interno di un cortile appena fuori dalla zona pedonale della città vecchia. Il proprietario, gentilissimo, fa almeno tre telefonate per procurarglielo.

 

Al ritorno in albergo per un riposino sembrava avessero cucinato crauti all'aceto nella nostra già triste stanza. Se mai ci avesse preoccupato il fatto che a Lublino sembra di vivere in una favola, direi che questo ci ha riportati bruscamente alla realtà.

 

Decidiamo di lasciare l’albergo domani mattina, anche se erano previste due notti, e prenotiamo a prezzo uguale, se non inferiore, una stanza piccola ma accogliente al Grand Hotel Lublinianka (tutta un’altra cosa!).

 

Ceniamo in ristorante qualunque nel centro storico di Lublino, ma per raggiungerlo dobbiamo fare almeno due tappe della via crucis insieme ad una gran folla che occupa completamente la strada principale. Mangiamo la tartare alla russa: è fantastica e a differenza della nostra carne cruda battuta al coltello alla piemontese ha il rosso dell'uovo crudo appoggiato sopra, l'erba cipollina e la salsa al rafano, che è la morte sua. Beviamo birra Zywiec, molto buona.   

 

Sabato - Majdanek, Włodawa, Sobibor e Chełm

Ci svegliamo con le valigie già chiuse per evitare che i vapori della cucina impregnino i vestiti senza speranze, e facciamo colazione in compagnia dei miasmi di un camion che proprio in questo momento è venuto a svuotare le fogne dell’albergo. Fuggiamo al più presto e trasferiamo i bagagli al Grand Hotel Lublinianka.

 

La tappa successiva è Majdanek. Già la sua vista dalla strada è un’esperienza agghiacciante perché ti permette di abbracciarlo completamente con un solo sguardo. E’ mattina presto e il parcheggio è vuoto fatta eccezione per un’improponibile automobile rossa piena di scritte: la nostra, davvero inappropriata per questo luogo.

 

Il KonzentrationLager Lublin ci ha impressionati sia per la sua vicinanza alla città, sia per quanto è rimasto intatto. Tutto è reso ancora più suggestivo dal fatto che è completamente deserto. Solo alcuni grossissimi corvi lo sorvolano incessantemente, e l’unico rumore che si sente è il vento che sbatte i nastri rossi e bianchi che delimitano alcune aree: sarà sempre così desolato, o è perché è Pasqua?

 

Ci colpiscono le scarpe dei prigionieri accatastate in una baracca, soprattutto quelle da donna, con i tacchi alti, belle ed eleganti che fanno pensare che chi le aveva indossate, magari in un mattino come un altro, certo non avrebbe immaginato di utilizzarle per raggiungere un tale luogo.

 

Quando torniamo al parcheggio vediamo che è pieno di auto. Ma dove sono tutti? Ecco scoperto l’arcano: di fianco a Majdanek c’è un cimitero piuttosto grande gremito di gente che porta fiori e pacchetti. Ci chiediamo se in Polonia sia d’abitudine andare a trovare i morti a Pasqua: in effetti in questi giorni tutti i cimiteri che abbiamo visto erano pieni di fiori: saranno sempre così o è perché è Pasqua?

 

Partiamo per Włodawa, paesino di frontiera con la Bielorussia che ha la caratteristica di avere nel raggio di trecento metri una sinagoga (o meglio ex-sinagoga), una chiesa ortodossa, una cristiana e un fiumiciattolo che segna il confine naturale con la Bielorussia.

 

La signora dell’ufficio turistico, che guarda caso parla italiano, ci vende una cartina che ci conferma, con nostra grande soddisfazione, che a parte questi tre luoghi di culto e il fiume non c’è altro. In effetti eravamo proprio andati fin lì in cerca del nulla.

 

Ci basta passeggiare per queste vie per qualche minuto per sentirci in un altro mondo: è semi deserto, e alle case antiche si affiancano casermoni in stile sovietico che ci ricordano i film di Krzysztof Kieślowski.

 

 

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Attira la nostra attenzione un austero edificio costruito nello stesso stile, con l’insegna al neon rossa “Kino”. Qui c’è qualcosa di esteticamente stonato: in programma ci sono film americani o, a giudicare dalle locandine, commediole locali leggere o addirittura sexy.

 

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Percorriamo anche la strada sterrata che costeggia il fiume: dalla parte polacca il terreno è diviso in piccoli fazzoletti coltivati e curati da anziani signori, forse in pensione. Ogni orticello ha la sua baracca, i suoi vasi di fiori, le sue sedie sdraio con un tavolino. Dall’altra parte del fiume c’è la foresta Bielorussa, fra i cui alberi secolari non si intravede nemmeno lontanamente traccia della presenza umana.

 

Scendiamo verso Chełm con l’intenzione di fermarci a Sobibor. Passato il paese “Sobibor” facciamo un bel po’ di chilometri di una strada bellissima in mezzo agli alberi senza sapere esattamente come raggiungere i luogo dove si trovava il campo di sterminio. Solo dopo svariate decine di minuti troviamo una piccola indicazione di svolta a destra con scritto Muzeum e Sobibor Kol. 5 km.

La strada indicata è sterrata e interminabile, ma meravigliosa, immersa nella foresta. Al termine di essa ci troviamo in un paesino irreale diviso in due da un paio di coppie di binari che sembrano quelli di un treno fantasma del far west. Tanto per cambiare è tutto quasi deserto, l’unico rumore è quello del vento.

 

Al contrario di Majdanek qui non è rimasto nessun segno di ciò che è stato perché i tedeschi a suo tempo hanno fatto sparire tutto occupandosi anche di piantare gli alberi per cancellare meglio ogni traccia. Questo tuttavia non rende il luogo meno inquietante! Ora ci sono degli scavi in atto, un monumento alla memoria e una strada con pietre commemorative costruita sulle tracce di quella che facevano i condannati a morte per raggiungere le camere a gas.

 

Davvero uno scenario irreale: la cosa angosciante è che questo era un campo finalizzato esclusivamente allo sterminio, insieme a Treblinka e Bełżec, e vi erano quasi solo ebrei. Ne venivano mantenuti in vita solo pochi al fine di far fare loro i lavori più sporchi e pesanti. Questi ultimi, perfettamente coscienti di ciò che accadeva nel campo, cercavano di mettere al corrente i condannati a morte di cosa li aspettava. Tuttavia questi preferivano credere ai tedeschi, loro aguzzini, che sostenevano che i prigionieri erano lì per essere disinfettati, vestiti con delle divise tutte uguali per evitare discriminazioni e poi mandati in Ucraina per lavorare.

 

Pare però che Sobibor rappresenti l’unico campo di concentramento in cui sia andata a buon fine una rivolta dei prigionieri, dei quali almeno metà riuscirono a fuggire nei boschi. Pare che di essi circa 50 siano sopravvissuti alla guerra.


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Ripartiamo ma ci fermiamo subito dopo la fine della strada sterrata perché Francesco ha mal di testa e vuole dormire una decina di minuti. Non passa praticamente nessuno sulla 816 per Chełm, tranne un trattore che guarda con curiosità la nostra auto alquanto vistosa ferma sul ciglio della strada. Non ha nemmeno l’autoradio: Francesco aveva comprato il Trio N.4 "Dumky" di Dvorak che avrebbe dovuto diventare la colonna sonora del viaggio.

 

A Chełm facciamo un giro veloce perché siamo troppo stanchi. E’ tutto deserto anche qui, sono tutti nella chiesa Piarista ad assistere ad una messa dietro l’altra. Messe a cottimo, ci diciamo divertiti. Riusciamo, solo di sfuggita, a intravedere al suo interno gli affreschi di Paolo Fontana tra la fine di una e l’inizio della successiva.

 

Chełm è la città delle barzellette sugli ebrei, il Rabbino Nachman di Bratislava, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, narra che gli uomini ebrei di Chełm usavano disperdere in giro per casa le unghie e i calli di mani e piedi, e che bambini e anziani facevano lo stesso con i denti.

 

Le donne ebree di Chełm, il cui compito era quello di garantire l’igiene della casa e di curare il risparmio, infastidite andarono a consultare il rabbino capo. Dopo un po’ di considerazioni quest’ultimo decise di rivolgersi alla comunità maschile di Chełm durante la celebrazione del sabato e sentenziò:

 

“Dato che le nostre donne, come prescrive la tradizione, diligentemente si prodigano per tenere puliti gli ambienti in cui viviamo, e dato che le nostre unghie bruciano facilmente, mentre i nostri denti sono fatti di buon avorio, garantito direttamente dall'Eccelso (sia sempre lodato il Suo Nome), vi ingiungo di raccogliere sempre unghie e calli e di utilizzarli per alimentare il fuoco in modo da risparmiare prezioso combustibile.

Inoltre ingiungo ad anziani e bambini di raccogliere ogni dente e di portarlo all'orefice della città che lo valuterà un copeco. Vedrete che questa pratica sarà per tutti noi portatrice di indubbi benefici, sia perché le nostre donne sono dotate ... ehm ... di scope robuste, sia perché un risparmio ed un copeco in più fa comodo a tutti, sia perché sottrarremmo materia prima dei nostri corpi ai fattucchieri gentili. Oltretutto, o amici miei, abbiamo da rispettare l'indicazione della Thora che dice: polvere eravate e polvere ritornerete ... e, come ben sapete e' meglio cominciare con parti inutili del nostro corpo che ricrescono in continuazione, che non con parti utili che non ricrescono più..”

 

Adesso ebrei non credo ce ne siano molti ma la città è amena e colorata. Francesco rimane infastidito da un negozio di scarpe che gli fa venire in mente la baracca di Majdanek. La sinagoga barocca si trova in un edificio perfettamente ristrutturato e al piano terreno ci hanno messo un ristorante texano.

 

 

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Rientrando a Lublino ci rendiamo conto che i palazzoni stile sovietico così colorati diventano quasi piacevoli, forse anche grazie alle giornate di sole sfolgorante e aria secca e leggera che fino ad ora stanno accompagnando il nostro viaggio.

 

La cena in un ristorante turistico nel centro di Lublino si può anche dimenticare, tranne per quanto riguarda dei curiosi “tortellini” in brodo ripieni di carne e maggiorana. Nonostante la quantità spropositata di aglio li abbiamo trovati davvero buoni.


Domenica - Da Lublin a Varsavia passando per Nałęczow

Dopo una buona colazione facciamo una passeggiata in Lublino, sperando di riuscire a vedere almeno i meravigliosi affreschi della cappella della S.S Trinità all’interno del castello. Ma è Pasqua. Inoltre ha iniziato a piovere.

 

Riprendiamo dunque la macchina e passiamo a dare un’occhiata al vecchio cimitero ebraico, coscienti del fatto che avremmo dovuto chiamare il giorno prima ma speranzosi di riuscire per lo meno a “sbirciare” dall’ingresso. Non ci riusciamo, e partiamo dunque per Varsavia.

 

Passando da Nałęczow veniamo attirati da un’enorme folla intorno ad una strana chiesa di legno, diversa da qualunque edificio visto fino ad ora in Polonia. Anche le ville intorno alla chiesa sono così: in legno scuro, con decorazioni che sembrano in stile Liberty e posizione dominante su una collina delle più ripide viste fino ad ora. Sembra di essere in Svizzera, o comunque in qualche località montana.

 

Parcheggiamo e decidiamo di fare due passi e subito mi sento catapultata nel film “Oči čërnye” (Oci Ciornie).

L’ho visto secoli fa, e l’avevo completamente dimenticato: è un film diretto da Nikita Sergeevič Michalkov, ispirato ad alcuni racconti di Anton Čechov. Molte sequenze si svolgono all’interno del centro termale di Montecatini all’inizio 900 e questa città , piena di cliniche e di SPA disseminate in un meraviglioso parco con laghetti, viali, alberi e giardini, sembra proprio rimasta cristallizzata in quel periodo storico. Non mi stupirei se vedessi qualche signora con cappello e veletta…

 

 

 

Facciamo anche una tappa a Kazimierz Dolny, ma, a parte la curiosità che mi suscitano gli abitanti che ci permettono di parcheggiare la tua auto nel loro giardino per 5 sloti non ci piace perché troppo turistica. Il nostro parcheggiatore non rinuncia a fare qualche battutina sulla nostra auto: “What happened to your car? An accident?”.

 

E’ anche buffo che in un bar ci servano un caffè Vergnano! Andiamo in Polonia per bere il caffè che tostano a cinquecento metri da casa nostra. Mentre ci dirigiamo a Varsavia incontriamo il cimitero ebraico della città, suggestivo in mezzo al bosco, e sormontato da un grosso muro spezzato in due costruito con le lapidi distrutte dai tedeschi.

 

Arriviamo a Varsavia da un ponte sospeso, il most Świętokrzyski, e rimaniamo da subito affascinati.


L’albergo, il Sofitel Victoria, è stralussuoso, e paghiamo davvero poco per la nostra sistemazione: una suite con tanto di ufficio privato, macchinetta del caffè Nespresso con cialde, stanza spaziosa e letto comodo. Anche la piazza in cui si trova è davvero affascinante per le sue grandi dimensioni.


Nei giorni successivi scopriamo che a mezzogiorno fanno qui il cambio della guardia davanti al monumento al Milite Ignoto. Inoltre è in un punto strategico tra la città vecchia e quella nuova, a 200 metri dal Kucharzy, dove abbiamo intenzione di cenare, e soprattutto vicino al cafe Blikle, dove faremo presto conoscenza con i famosi pączki.

 

 

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Quando usciamo piove ancora e riesco solo a fare qualche foto a Plac Zamkowy con il selciato bagnato prima di andare a mangiare al “Delicja Polska”. E’ un ristorante nella Krakowskie Przedmieście un po’ caro e pretenzioso, ma lo stinco di agnello è davvero notevole. Ce l’ha consigliato il concierge, dato che il Kucharzy è chiuso fino a martedì. E’ Pasqua.


Lunedì - Varsavia e l’insurrezione

Sono bastati 15 minuti per capire che avremmo dovuto passare tutta la settimana qui a Varsavia. Abbiamo iniziato a fare l’elenco delle persone che ci dicevano “La Polonia? Si, Cracovia… ma Varsavia non è granché, è proprio bruttina, piena di palazzoni…”, ma l’hanno vista?

 

Dopo una fantastica colazione in albergo con ogni tipo di torte, marmellate, pane bianco e nero, frutta fresca e secca, mousse, yoghurt e nutelle artigianali, croissant, brioche di ogni genere, affettati, formaggi francesi ecc, ci dirigiamo alla città vecchia per acquistare una carta turistica che, a dire della guida, avrebbe dato diritto anche a tutti i mezzi pubblici gratis.

 

Il ragazzo dell’ufficio turistico ci rimbalza ad un altro ufficio e quando gli chiediamo il nome preciso di questa carta, lui ci risponde con una stretta di spalle: “Yes, you can call it tourist card”.

 

Purtroppo la Pasqua ci perseguita, è come al solito tutto chiuso e rinunciamo.

Prendiamo il tram 13 sotto Plac Zamkowy e come prima cosa ci rinchiudiamo per ore nell’interessantissimo Museo dell’Insurrezione.

 

Davvero esaustivo, bisognerebbe vederlo a rate, magari tornandoci per due o tre giorni di seguito perché è davvero sconfinato. Ci rimane una forte curiosità riguardo ad un accenno che troviano nella parte finale riguardo alla serie polacca TV “Czterej pancerni i pies”  (Quattro carristi e un cane), abbiamo fatto un po’ di ricerche: è una serie TV nata nel ’66, diretta da Konrad Nałęckiego  e basata sul romanzo scritto da da Janusz Przymanowskiego, adattato dallo stesso autore.

 

La storia narra le avventure dell'equipaggio del carro armato Rudy e del cane Gabby durante la seconda guerra mondiale. Gli eroi della serie fanno parte della prima armata polacca, che era un esercito creato in Russia nel 1944: i ranghi inferiori erano formati dai polacchi deportati in Russia dopo l’acquisizione della Polonia orientale a seguito del patto Ribbentrop-Molotov, mentre quelli superiori erano sovietici. Era praticamente un esercito russo travestito da esercito polacco.

 

La serie TV aveva lo scopo di fare propaganda sovietica, e insegnò ad un gran numero di bambini polacchi una realtà distorta per perseguire gli obiettivi del regime sovietico tra cui il principale era quello di mettere in cattiva luce tutti coloro che avevano lottato per l’indipendenza polacca e farli passare per ribelli.

 

Tuttavia ebbe un enorme successo. Nel 2006, dopo numerosissime proteste, soprattutto da parte dei veterani dell’indipendenza, fu tolta dal palinsesto televisivo, ma i diritti furono comprati da un’altra emittente polacca, la Kino Polska, e fu rimessa in onda nel 2007. Ancora nel 2008 l’emittente TVP Historia la mise in onda con un commento che spiegava eventuali discrepanze con la realtà dei fatti storici accaduti.

  

Insisto per tornare a piedi per riavermi da tutta quell’oscurità e da tutti quei rumori, e passiamo quasi per caso nella ulica Próżna, con i suoi edifici decadenti, impressionanti accanto agli altri, puliti e ristrutturati, che stanno loro intorno.

 

Da lì facciamo un lungo giro intorno a una grande parte transennata per lavori per trovare la sinagoga Nożyk e poi l’ultimo frammento del muro del ghetto che intravediamo da un cortile di un liceo in ulica Sienna 55.

 

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Distrutti dalla camminata attraversiamo a piedi sotto un viadotto e ci troviamo dentro la stazione centrale.

 

Proseguiamo per la Aleje Jerozolimskie e arriviamo nella bellissima Nowy Świat. La percorriamo tutta, fino al cafe Blikle, fino a quando cambia nome e diventa Krakowskie Przedmieście e infine fino a ulica Romualda Traugutta dove giriamo a sinistra e, finalmente, siamo arrivati in albergo.

 

Ci riposiamo un po’ perché stasera ci aspetta il Rocky Horror Show all’Och teatr. Francesco ha comprato i biglietti perché un musical Inglese, che per di più conosciamo a memoria, è una delle poche cose che potevamo permetterci di vedere a teatro capendoci qualcosa.

 

Andiamo in taxi. Appena inizia lo spettacolo ci accorgiamo che è tradotto tutto in polacco, persino le canzoni… in realtà questo lo rende ai nostri occhi molto divertente, e usciamo molto soddisfatti.

 

Ceniamo in un pub, il Leżaki, in ulica Piwna 48. C’è della bella musica, su uno schermo LCD proiettano il concerto di un gruppo rock. Sembra un video degli anni ’70, ma non riusciamo a capire il nome del gruppo. Dietro il palco c’è scritto Riviera Remont, che scopriamo essere un locale di Varsavia.

 

Li troviamo su Wikipedia: sono i Dżem, che si pronuncia come “jam” in inglese. Il primo nome del gruppo era Jam, ma qualcuno lo scrisse sbagliato, Dżem, così come si sarebbe scritto in polacco, e così divennero i Dżem. Il concerto che abbiamo visto è sicuramente più recente di quanto pensassimo (forse del 1991?), dato che la loro prima canzone risale al 1985.

Martedì - I pączki e il ghetto ebraico

Oggi niente colazione in albergo, ci svegliamo presto perché dobbiamo riconsegnare l’auto, che tra le altre cose abbiamo pure dovuto far lavare in albergo perché la pulizia non era compresa nel prezzo. Avevamo l’appuntamento per la consegna al Radisson Blu, dove avremmo dovuto alloggiare per questi nostri giorni a Varsavia. In realtà abbiamo cambiato idea all’ultimo momento e non abbiamo potuto cambiare il luogo dell’appuntamento con la ROFAG.

 

Il ragazzo stavolta è puntualissimo, controlla l’auto con flemmatica perizia e sollevati salutiamo per l’ultima volta quel coloratissimo mezzo di trasporto.

 

paczkiCi rechiamo al cafe Blikle, dove dopo una colazione Varsaviana notevole ordiniamo anche un paczki da dividere in due.

 

Finalmente possiamo vedere Varsavia in un giorno lavorativo, con la gente che va e viene per strada e tutti i negozi aperti! Ma l’atmosfera sembra mille volte meno frenetica di quanto siamo abituati a vedere a Milano e Torino.

 

 

Volevamo entrare al museo di Chopin, ma apre solo alle 12.00, quindi a piedi raggiungiamo l’edificio in costruzione del museo della storia degli ebrei polacchi, curioso perché per ora appare come un parallelepipedo con una specie di squarcio da un lato.

 

Sembra che all’interno vi saranno una zona allestita come una foresta, e una come una via di Varsavia. Seguiamo l’itinerario segnalato dai vari monumenti nell’ex ghetto, come quello che si trova dove partivano i treni per Treblinka. Lì un ebreo con tanto di boccoli ci chiede qualcosa in una lingua incomprensibile, poi traduce in inglese: “Are you juish?”.

 

Noi allarghiamo le braccia e diciamo di no. Raggiungiamo con una bella camminata lungo la Stawki il cimitero ebraico ma è chiuso. Prendiamo così il tram 22 che ci porta all’inizio della Nowy Świat. Altri due paczki sulla via dell’albergo.

 

Ci riposiamo un po’, poi entriamo al museo di Chopin, molto tecnologico ma un po’ caotico. Francesco si stufa un po’ perché ha letto un libro intero su di lui e conosce già tutti i dettagli della sua vita. Forse per lui è piacevole giusto il fatto di poter dare un volto a tutti i personaggi del compositore, e soprattutto a George Sand. A dire la verità il fatto di sentire tante musiche confuse una con l’altra non ci piace moltissimo.

 

A cena ci attende una prenotazione al Kucharzy, molto carino e movimentato. Lo chef prepara davanti ai nostri occhi un’ottima tartare, ed è carina anche l’ambientazione: pare di mangiare in una enorme cucina con pavimenti bianchi e neri e mattonelle bianche lucide messe, spesso un po’ storte, sulle pareti.

 

Dato che è l’ultima sera che siamo qui per consolarci andiamo a cercare un Jazz club che era un vecchio negozio di dischi nella città vecchia. Sembra chiuso da anni, e probabilmente lo è davvero: anche se siamo stanchi, torniamo al pub Leżaki a bere una birra.

 

Mercoledì - Il cimitero ebraico e ritorno a casa

Oggi è l’ultimo giorno. Lasciata a malincuore la stanza alle 10.00, con tutta calma perché la giornata fino alla partenza dell’aereo alle 20.20 è ancora lunga, facciamo di nuovo colazione al cafe Blikle, poi prendiamo il 22 in senso contrario rispetto a ieri e arriviamo al cimitero ebraico. Il posto, all’interno delle mura di cinta, è molto suggestivo e tranquillo, nonostante si trovi su un vialone enorme. Incappiamo per caso nella tomba di Marek Edelman, morto nel 2009.

 

Ci rendiamo conto di non aver nemmeno visto la Vistola, se non di sfuggita dal most Świętokrzyski il giorno del nostro arrivo, e decidiamo di prendere il tram 1 che ci porta al most Gdański, il ponte vicino alla cittadella. Varsavia non sembra una città sul fiume come Parigi o Londra o Praga, ma una città che sorge vicino a un fiume.

 

L’acqua, che in queste ultime città è un elemento determinante per il loro aspetto estetico e urbanistico, a Varsavia sembra non far parte della città, anzi sembra dividerla in due. Il quartiere al di là della Vistola, che purtroppo non abbiamo avuto tempo di vedere, sembra far parte di un’entità a  se stante, come fosse un’altra città.

 

Forse questo è l’unico neo che rileviamo, a fronte di una visita così breve.

 

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Rientriamo a piedi nella città vecchia passando da ulica Freta, che avevamo visto solo ieri di sfuggita mentre cercavamo il Jazz Club Helicon. Ci sediamo in un bar all’aperto nella piazza (Rynek Starego Miasta) a prendere un caffè.

 

I camerieri ci fanno un po’ arrabbiare, perché prima ci dicono che prendono la carta di credito, poi non la vogliono prendere e Francesco si fa una camminata lunghissima per trovare un bancomat e ritirare.

 

Un po’ seccati ce ne andiamo, e decidiamo di andare a dare ancora un’occhiata al centro finanziario della città, anche perché io ci tenevo a fare almeno un giretto in metropolitana prima di ripartire. Facciamo giusto due fermate, da Ratusz a Centrum.

 

La cosa incredibile è che Varsavia fino ad ora non ci è sembrata una città troppo caotica e affollata, ma la metropolitana lo è eccome! Sembra che tutta Varsavia sia concentrata dentro il dedalo di sottopassaggi di queste fermate sotterranee!

 

Diamo un’occhiata ai centri commerciali vicino al Palazzo della Cultura e della Scienza. Gli abitanti di Varsavia affermano che la vista più bella della città sia quella dall’alto di questo palazzo perché è l’unico punto da cui non si vede il palazzo stesso, ma quello che pensiamo noi è che infondo questo palazzo non è così brutto, nel suo genere… probabilmente ciò che davvero dà fastidio di questa costruzione è il significato che ha, più che l’aspetto estetico.

 

La sua austerità e simmetria affiancata a grattacieli di vetro tondeggianti o parzialmente sospesi su sottilissime colonne come funamboli per me mantiene comunque un certo fascino. E’ un po’ come se Varsavia fosse tante città diverse: quella un po’ nostalgica con le stradine pedonali che guarda verso il passato e ricostruisce le sue vie distrutte sulla base delle viste del Bellotto, quella sovietica imponente e squadrata, che vuole avere tutto sotto controllo e quella supertecnologica che guarda verso il futuro, con i ponti sospesi, i grattacieli, i palazzi con gli squarci e i centri commerciali.

 

Ogni volta che giri un angolo ti appare una di queste città, a sorpresa, non sai mai quale sarà, ma tutte convivono in modo armonioso.

 

Francesco non è d’accordo su questo: per lui la città che guarda al futuro è proprio quella capace di prendere le viste di Bellotto e, a partire a da quelle, ricostruirla identica a come era prima. Forse non ha tutti i torti.

 

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Ci infiliamo in una libreria per cercare la versione spagnola di Fredydurke, che mi piacerebbe leggere, ma non la troviamo. Sarà la sesta libreria in cui chiediamo! Ce la compreremo su Bol!

 

Ci ritroviamo così nella ulica Chmielna piena di negozi, raggiungendo, molto prima di quanto ci aspettassimo, la nostra preferita Nowy Świat che percorriamo per l’ultima volta per raggiungere l’albergo dove ci aspetta un taxi.

 

Nella hall c’è gran fermento di fotografi e giornalisti, ma quando chiediamo al concierge se ci sia qualche personaggio importante in arrivo ci risponde in modo un po’ snob che c’è un cliente che deve ricevere delle interviste: “nothing unusual”.

 

Ci accompagna in aeroporto un tassista scorbutico fino all’inverosimile. E’ fantastico volare su un volo di linea normale, dove non hai il problema di trascinarti fin dentro l’aereo l’odioso trolley: mentre aspettiamo di imbarcare i bagagli tiro fuori dalle valigie i libri da leggere in aereo (“Vado a vedere se di là è meglio” per me e il “Diario” di Gombrowicz per Francesco) e uno steward Lufthansa che era lì a controllare le carte di imbarco esclama: “Ah, Gombrowicz, I love him, for me his best novel is Cosmo”. 

 

Chiudiamo così in bellezza, anche se molto a malincuore il nostro meraviglioso viaggio in Polonia.