* Domanda di
rigore: quali sono i registi e in particolare i
registi polacchi, che hanno influenzato il cinema di Magdalena Piekorz?
A me
piace
fare i film sull’umanità e sugli aspetti
psicologici dell’uomo, quindi i registi che trattano questi temi sono
per me
come dei segnali stradali da seguire. Sicuramente il primo da citare è
il mio
mentore e produttore, Krzystof Zanussi. Adoro Pociąg, di Kawalerowicz,
e Il
coltello nell’acqua di Polanski. Comunque il cinema mi piace in tutte
le sue
varietà. Ad esempio, parlando di cinema italiano, adoro Antonioni e mi
sento
molto vicina al neorealismo italiano. Poi mi piace molto Ettore Scola,
cui mi
sono ispirata per Hotel Nowy Świat.
* Wacław Adamczyk,
che interpreta il Wojciech Winkler
dodicenne, pur essendo giovanissimo offre una notevole prestazione
attoriale.
Le scene di violenza con il padre sono crude ed esplicite e la tensione
psicologica è altissima. Leggendo la biografia di Magdalena Piekorz
emerge che
tra le altre cose ha lavorato con ben 42 bambini nel musical Oliver:
come si
svolge il suo lavoro con i bambini o con ragazzi così giovani?
A me
piace
moltissimo lavorare con i bambini. Quando
lavorano hanno un grande senso della responsabilità. Inoltre sono
ordinatissimi: quando ho diretto Oliver ogni bambino aveva il suo
armadietto
con i suoi oggetti di scena, e non è mai successo che, come spesso
accade con
gli adulti, si sia perso qualcosa nel corso dello spettacolo. Ho anche
dato ai
bambini delle schede in cui hanno dovuto scrivere la biografia del
personaggio
che interpretavano. In particolare Wacław Adamczyk, che adesso sta
finendo
l’università ed è diventato un ragazzone alto un metro e novanta, era
serissimo: poteva anche giocare a Basket fino a un attimo prima delle
riprese,
ma quando entrava sul set diventava un altro. Lui, poi, era addirittura
in
grado di sentire ciò che sentiva il suo personaggio, si era davvero
immedesimato. Trovo che sia molto stimolante lavorare con i bambini.
*
Si potrebbe dire
che Senność non sia un film, ma tre film in uno. Le tre storie che si
intrecciano sono filmate in modo completamente diverso: la storia di
Róża ha
una luce dorata, elegante, che a volte ricorda quella che illumina i
personaggi
sul palcoscenico in un’opera teatrale; l’episodio sullo scrittore ha
una luce e
un colore freddi che invece ne sottolineano il carattere
tragico-grottesco;
l’episodio sul giovane dottore è caratterizzato da un realismo privo di
fronzoli in cui troviamo anche la telecamera a mano. Questa
differenziazione
nella messa in scena l’ha decisa già in fase di lettura della
sceneggiatura o
in quale altro momento del processo creativo?
Questa
decisione è stata presa da subito e in modo
molto consapevole. Volevo davvero fare 3 film in uno, perché volevo
ritrarre 3
mondi diversi e tre diversi tipi di “sonnolenza”: la casa di Róża è
bellissima,
e apparentemente a questa coppia non manca nulla per essere felice,
tuttavia
non vi è amore: la casa è vuota e silenziosa e qui troviamo il tipo di
sonnolenza propriamente detto, ovvero la narcolessia. La casa dello
scrittore,
invece, è rumorosa e tutt’altro che vuota, anche in essa non c’è amore,
e entro
i suoi confini è impossibile risvegliarsi dalla sonnolenza, che in
questo caso
è una sonnolenza “creativa”. L’amore vero, invece, sboccia nelle
circostanze
meno favorevoli e in un ambiente ostile, tra un medico e un ladruncolo.
Qui la
sonnolenza è quella di chi fino ad ora non ha capito chi è e cosa
vuole. Anche
il linguaggio è molto diverso nei tre episodi: nell’episodio del
dottore è
molto semplice e diretto, mentre in quello di Róża e soprattutto in
quello
dello scrittore, diventa molto più letterario e meno quotidiano. Non so
se
rifarò questa esperienza di fare tre film in uno, perché è stato molto
difficile. E’ stato proprio come girare tre film.
* Da quando
Magdalena Piekorz finisce di leggere la
sceneggiatura a quando il film è finito, quanti elementi vengono
modificati?
Quando inizia a girare, la sua idea su come deve risultare la scena è
già
completamente definita? Quanto spazio lascia, nel suo metodo di lavoro,
all’ispirazione del momento oppure all’inventiva degli attori?
Il
film deve
essere un processo in continua evoluzione,
non mi piace prendere la sceneggiatura e seguirla dall’inizio alla fine
senza
cambiare nulla. Io do sempre uno spazio anche agli attori, i quali
hanno il
tempo di pensare al loro personaggio e la possibilità di fare delle
proposte su
come interpretarlo. Poi, quando mi sottopongono le loro idee, rispondo
dicendo
“questo sì”, oppure “questo no”. Anche gli stessi dialoghi, come
diciamo noi in
Polonia, devono “stare bene sulle labbra dell’attore”, quindi li
abbiamo spesso
rivisti.
* Un altro aspetto
cui Magdalena Piekorz sembra prestare
particolare attenzione nella costruzione del film è la musica. In
Senność c’è
una sequenza che sembra un vero e proprio video clip, mentre in Pręgi
la musica
diventa addirittura elemento catalizzatore della storia: il ragazzo si
ribella
al padre proprio attraverso la musica, e Bach, Beethoven, Mozart, e
Strauss
vengono imposti dal padre diventando in qualche modo simbolo della sua
violenza. Che ruolo ha la musica nei suoi film, e come la sceglie?
Ogni
film deve
avere la sua musica e capita che io
questa musica la senta già prima. Sento come deve essere, se chiara o
scura. Ho
anche avuto la fortuna di avere come collaboratore un compositore
bravissimo,
Adrian Konarski, con cui ho lavorato in Pręgi. E’ stato davvero
eccezionale.
Per me la musica in questo film doveva fare da contrappunto: il film è
abbastanza triste, abbiamo utilizzato Bach, che tra le altre cose è il
mio
compositore preferito, e la musica che Konarski, ha composto
ispirandosi a
Bach. Sono davvero soddisfatta del risultato, è davvero bellissima. In
Hotel
Nowy Świat, invece, il lavoro è stato diverso, perché la musica doveva
essere
diversa in ogni quadro, proprio perché doveva appartenere a epoche
diverse e
scandire il passare del tempo.
* Più volte nelle
sue produzioni artistiche, e in
particolare nelle collaborazioni con Wojciech Kuczok, ritorna il tema
del
personaggio “danneggiato” da qualche esperienza o trauma avvenuto in
passato,
oppure il tema della mancanza di equilibrio nei rapporti familiari. In
Pręgi e
in Senność questi nodi sembrano venire in qualche modo sciolti e
risolti.
Quanto questo tema sta a cuore a Magdalena Piekorz, e quanto a Wojciech
Kuczok?
Io mi
trovo
benissimo a lavorare con Wojciech, perché
litighiamo sempre: lui vorrebbe sempre un finale nero, io invece vorrei
sempre
un finale ottimista. Alla fine troviamo una via di mezzo. Spesso è
difficile
capire cosa è mio e cosa è suo: l’infanzia infelice non appartiene
sicuramente
a me, perché io ho avuto un’infanzia molto serena, mentre, ad esempio,
l’episodio della girandola è una cosa che in realtà è successa a me. Ad
esempio
abbiamo deciso di girare Senność perché ambedue ci siamo accorti che
stavamo
per piombare in uno stato di sonnolenza: questo film doveva aiutarci a
uscire
da questo stato e anche, allo stesso tempo, dare un consiglio ai
dormiglioni, e
questo consiglio è… di svegliarsi. Ora sto per iniziare a girare un
nuovo film,
le riprese inizieranno ad agosto, si intitola Zbliżenie e questo sarà
davvero
per metà mio e per metà suo.
* Come sceglie i
temi dei suoi documentari? Cosa l’ha
spinta, in particolare, a interessarsi della comunità italiana nel
Piemonte
d’Istria? Come nasce il processo creativo del documentario?
E’ da
molto
tempo che non faccio documentari, e il
motivo principale è che sento che i documentari vanno fatti su
argomenti che
implicano una tragedia, o per lo meno un problema sociale. E siccome
tendo a
immedesimarmi tantissimo nei protagonisti, girare un documentario per
me
diventa davvero moralmente e psicologicamente pesante. Ho scelto la
storia di
Gigi perché è una storia stranissima e commovente. Questa piccola
città,
Piemonte d’Istria, si è svuotata improvvisamente ai tempi di Tito: il
suo
esercito ha dato un ultimatum ai suoi abitanti e ha detto loro di
andarsene, e
che chi non l’avesse fatto sarebbe stato ucciso. Tutti si sono
trasferiti a
Trieste, tranne una persona, Gigi, appunto, il quale ha deciso di
rimanere
dov’era, perché si sentiva un cittadino dell’Istria e per nulla al
mondo se ne
sarebbe andato. Ora vive in questo paese abbandonato, in mezzo a case
distrutte
su cui la natura sta prendendo il sopravvento: alberi e arbusti
crescono
attraverso le pareti e i tetti. Abita in cima a una collinetta, isolato
dal
mondo. La gente delle località vicine lo va a trovare e gli porta la
spesa, il
cibo, ma lui comunque se ne sta solo soletto lassù. Una volta sono
andata a
Trieste e ho rintracciato tutti gli abitanti che ai tempi di Tito
vivevano là e
abbiamo organizzato un incontro con Gigi, è stato molto commovente.
* Come si è trovata
e come è riuscita a narrare una storia,
o meglio La Storia, “senza parole” in Hotel Nowy Świat?
Non
lo so
nemmeno io! La difficoltà di fare uno
spettacolo del genere a teatro, oltre tutto, è che non hai la
possibilità di
usare zoom, primi piani o movimenti di macchina. Devo dire che gran
parte del
merito è del coreografo, Jakub Lewandowski, che ha fatto davvero
miracoli.
Infatti quello che colpisce è che lo spettacolo teatrale che abbiamo
fatto non
è una pantomima, ma uno spettacolo normale… senza parole. Lo spettacolo
si
ispira a Ballando Ballando di Ettore Scola, ma l’abbiamo trasferito in
Polonia perché
abbiamo pensato che la
storia della Polonia è davvero interessante e tragica. Alla fine ciò
che mostra
questo spettacolo è come l’uomo se la cava davanti a tutte le avversità
della
vita, e ritrae tutti i temi che ci toccano da vicino come l’’amore, la
morte,
gli addii e i ritorni.
* Cosa ci dice del
cinema polacco di questi ultimi anni e
cosa vede nel futuro del cinema polacco?
Io
spero che
il cinema polacco migliori sempre. E’
vero, il periodo d’oro del nostro cinema è quello degli anni 50 e 60,
ma anche
quello di oggi per me sta andando benissimo. Abbiamo registi giovani,
come ad
esempio quelli che sono stati questo febbraio a Berlino: Małgorzata
Szumowska
con W Imię e Katarzyna Roslaniec con Bejbi Blues. Un film molto bello
del 2012
è Obława, di Marcin Krzyształowicz. Alcuni di essi stanno uscendo piano
piano
dalla Polonia. Secondo me ci vorrebbero più collaborazioni, magari
delle
coproduzioni italo-polacche.
* Cosa si prova ad
essere applauditi per 5 minuti e 22
secondi (come è avvenuto per Pręgi)?
Non
ci potevo
credere: io non ho visto il film in sala
insieme al pubblico. Io e Wojciech ci chiedevamo
se sarebbe piaciuto o no. C’è un’usanza
a
Gdynia, secondo la quale quando iniziano i titoli di coda di un film la
gente
applaude e si misura il tempo dell’applauso, e il premio viene
aggiudicato
proprio in base a questo. Quando è finito Pręgi e siamo entrati in
sala,
abbiamo notato con piacere che la sala era pienissima di gente. Però
c’era un
totale silenzio: il pubblico era immobile e non applaudiva. Allora io e
Wojciech ci siamo girati e abbiamo cominciato lentamente ad andare
verso
l’uscita, convinti che il film non fosse piaciuto. Il produttore ci ha
fermati,
e ci ha spinti a girarci di nuovo verso il pubblico. E così abbiamo
visto che
tutta la sala si era alzata in piedi. E poi ha iniziato ad applaudire.
E così
non ho potuto trattenere le lacrime. E’ anche successa un’altra cosa:
si è
fatto avanti un signore sulla cinquantina in lacrime e mi ha
ringraziato perché
senza questo film non avrebbe mai capito suo padre. Aveva la fortuna di
avere
il padre ancora in vita, e grazie a questo film aveva ancora la
possibilità di
dirglielo. E allora mi sono davvero sciolta.
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