Paolo scrive su W
imię...
Come
sempre ripenso ai film che vediamo insieme e devo dire che quello di
ieri sera secondo me è un film che va rivisto per cogliere meglio
quello che la regista vuole dire, perché fino a ieri sera ero
concentrato più che altro sul non detto.
Ripensandoci mi accorgo che la
regista si mette dalla parte dell'uomo di chiesa e dalla parte
dell'uomo che sta dietro all'uomo di chiesa, scusate il gioco di
parole, con le sue debolezze di natura principalmente carnale senza
condannarle; mi sembra a un certo punto che dica se gli uomini della
società sono omosessuali che male c'è se lo é anche la parte umana che
c'è dentro l'uomo di chiesa.
Ma l'uomo di
chiesa rappresenta un
riferimento per le persone che lo circondano e la parte umana, a
differenza delle persone normali, non può prendere il sopravvento e va
relegato in un qualche ambito che non sia tangibile per la società e
che, vuoi con la corsa, vuoi con il sacrificio personale, sia in
qualche modo 'annacquato nell'acqua del lago' (mi viene questo
parallelo preso in prestito altrove).
D'altra parte la regista é
critica nei confronti dell'istituzione clericale particolarmente
zelante nella ricerca dei possibili peccati umani, anche se solo
virtuali, per renderli strumento di derisione sociale e di
emarginazione, e quale luogo dove nascondersi per dare spazio, facendo
attenzione a non essere scoperto, ai propri interessi personali.
Scrivo queste
ricche di getto appena uscito dalla doccia dopo una corsa al parco
meditabonda.
Fatemi sapere,
se avete voglia, cosa ne pensate.
Grazie
A presto
Paolo
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