Il 25 marzo 2017
alle 21.00 in
occasione del festival Slavika il
Cinema Zuta ha presentato al Cinema Massimo il film Demon di Marcin Wrona del 2017.
Alla presentazione a cura del Cinema Zuta è seguita
la proiezione del film in anteprima nazionale.
Testo
dell'intervento
Il film che vedremo, Demon, è
uscito nel 2015, ha partecipato al festival di Gdynia, il più importante per il
cinema Polacco, a quello di Toronto ed è stato premiato ad Haifa. Potrebbe
essere visto senza alcuna presentazione. Tuttavia ci piacerebbe raccontarvi
alcuni retroscena.
Infatti nasconde dentro di sé molti riferimenti alla tradizione
ebraica e alla storia polacca. La stessa trama, ad esempio, pur non citandolo
mai in modo esplicito, racconta in modo quasi letterale la storia de Il dybbuk. Il dybbuk è un’opera teatrale scritta da Anski nel 1920. L’autore
voleva che venisse rappresentata in teatro, ma nessuno era d’accordo a farlo:
tutti erano convinti che non avrebbe mai avuto successo. Anski ne fu così
deluso, che molti attribuirono la sua morte, avvenuta subito dopo la sua
presentazione dell’opera, a questo dispiacere.
Uno dei suoi amici, che si sentiva in colpa, decise nonostante tutto
di metterla in scena: a dir la verità diventò una delle piece teatrali di
teatro yiddish di maggior successo durante l’inizio del novecento. Talmente
famoso, che a Varsavia il tram, quando si fermava davanti al teatro in cui
c’era in programma il Dybbuk, il vetturino diceva: ”Fermata Dybbuk”. È stata
ripresa nel cinema svariate volte con adattamenti più o meno fedeli.
Il termine “dybbuk” nella tradizione popolare indica lo spirito di un
uomo che in vita è stato in qualche modo offeso, o nei confronti del quale sia
stata fatta una promessa non mantenuta o un’ingiustizia. Tale spirito, per
raggiungere la pace e quindi il regno dei morti, ha bisogno di “incollarsi” ad
un essere vivente al fine di risolvere, vendicare o porre rimedio alla propria
offesa. La promessa, l’offesa fatta in
vita è talmente forte, che dura anche oltre la morte. Non è cattivo, il più
delle volte è esso stesso la prima vittima, si trova incastrato nel suo destino
e ad avere bisogno di aiuto. Questa figura è presente in molti racconti e
leggende ebraiche.
Nel racconto di Anski, due
uomini in attesa di un figlio, si fanno la reciproca promessa di far sposare i
due bambini una volta cresciuti, a patto che nascano un maschio e una femmina. Uno
dei due muore, l’altro dimentica la promessa. I due bambini crescono, lei è
ricca e promessa sposa ad un buon partito, lui povero. Si conoscono per caso, e
si innamorano, perché la promessa è così forte che non può non compiersi.
Non potendosi sposare a causa
della differenza sociale, lui diventa alchimista per cercare di diventare ricco
trasformando i metalli poveri in oro, finché perde il senno e muore. La ragazza,
di nascosto dal padre che gliel’aveva vietato, il giorno prima delle nozze va
al cimitero alla tomba di sua madre: lì viene posseduta dal dybbuk del suo
amato. La promessa stabiliva che i due ragazzi avrebbero passato la vita
insieme e può essere soddisfatta solo con la morte di lei, che segnerà l’unione
e la pace dei loro due spiriti.
In questo film, invece, il protagonista, di origine polacca ma che ha
passato la vita in Inghilterra, fa pensare al discendente di una famiglia ebrea
fuggita dalla Polonia in tempo di guerra. La casa che i due sposi stanno
ristrutturando per andarci a vivere era sicuramente appartenuta a qualche
famiglia ebrea prima della guerra, famiglia probabilmente uccisa o deportata.
Lo spirito, il dybbuk, che il protagonista incontra è forse quello di una
ragazza che stava organizzando il suo matrimonio ma è stata uccisa prima di sposarsi.
Ora questa ragazza deve portare a termine la sua opera e vedremo come farà.
La storia del film è ambientata
in nella Polonia contemporanea, dove oramai da decenni di ebrei non ne vivono
quasi più. Tuttavia in Polonia la cultura ebraica è tangibile, presente,
proprio come un dybbuk, come se si fosse in qualche modo “incollata” al popolo
polacco.
Questo film può anche essere
anche considerato in modo più ampio come metafora della Polonia che deve ancora
fare i conti con il fantasma del proprio passato. Qui chi non ha pace non è una
giovane coppia di sposi ma sembra essere tutta la Polonia alla prese col
fantasma di un’intera generazione di ebrei che in questa terra ha visto infrangere
le proprie promesse e speranze.
Il regista del film, neanche
quarantenne, muore in circostanze piuttosto misteriose: si è ucciso la sera
della prima nazionale di Demon, durante il festival di Gdynia. Si era sposato
qualche settimana prima. Pare che suo padre, che tra l’altro era un violento,
per vivere facesse l’esorcista e che lui l’avesse più volte visto in azione. La
sua morte, oltre a ricordare un po’ la trama del film, ricorda anche quella
dell’autore del racconto, Anski, che morì poco dopo la sua prima lettura ad
alta voce dell’opera teatrale, che appunto in quell’occasione fu bocciata.
|