Il 23 marzo 2016
alle 21.00 in
occasione del festival Slavika il
Cinema Zuta ha presentato al Cinema Massimo il film 11 minut di Jerzy
Skolimowski del 2015.
Alla presentazione a cura del Cinema Zuta è seguita
la proiezione del film in anteprima nazionale.
Testo
dell'intervento
Don't
worry
about what the American critics are writing on your cinema . . . You
and I, we
are the best directors in the world!
Non
preoccuparti di quello che scrivono i critici americani del tuo cinema…
Io e
te, noi siamo i migliori registi al mondo!
Così scrisse Godard
nei tardi anni ’60 in una lettera a
Jerzy Skolimowski per consolarlo delle cattive critiche ricevute:
Skolimowski
stava girando Il vergine.
Questa sera,
infatti, ci apprestiamo a vedere un film di un
regista che nonostante il valore attribuito alla sua opera dai critici
di tutto
il mondo, si trova con molti dei suoi film non distribuiti e talvolta
quasi
introvabili. Pare abbia avuto spesso problemi con i produttori dei suoi
film:
ad esempio durante le riprese di Le
avventure di
Gerard volevano
licenziarlo, ma
Claudia Cardinale affermò che senza Skolimowski se ne sarebbe andata
anche lei
.
Pare addirittura
che uno sceneggiatore avesse scritto il
soggetto di una commedia in cui si narrava l’impossibilità di girare un
film
con un regista polacco ispirandosi proprio a lui.
Jerzy Skolimowski
nasce nel 1938 a Łódź in Polonia e, grazie
al fatto che sua madre lavora per il consolato polacco di Praga come
addetta
alla cultura frequenta un prestigioso liceo ceco, dove studia insieme
con il
Milos Forman (di 5-6 anni più grande di lui).
In questi anni
inizia a comporre le sue prime poesie,
attività che lo occuperà nel corso della giovinezza e che lo porterà a
pubblicare due volumi nel ’58 e nel ’59: Gdzieś
blisko siebie (Da qualche parte vicino) e Siekiera i niebo (L’ascia e il
cielo).
A questo proposito
lo scorso settembre durante un’intervista
al festival di Gdynia, alla domanda di un giornalista che leggendo una
sua
vecchia poesia ne cercava le pertinenze con 11
minuti, rispose dicendo che aveva fatto di tutto per
“eliminare le
prove” acquistando tutte le copie del libro in cui si trovava questa
poesia… e
questo è stato anche lo spunto per parlare della sua attività di boxer
nei
medesimi anni, che a suo dire fu da lui scelta proprio per compensare
un’occupazione così poco virile.
Dopo il liceo Jerzy
Skolimowski si laurea in Etnologia,
Letteratura e Storia all’università di Varsavia, e poi si diploma
presso la
celebre scuola di cinema di Łódż dove studia con Roman Polański e
Andrzej Wajda
tra gli altri.
Nasce come
apprendista di Wajda e poi di Polanski, anche se
Polanski in quegli anni era comunque agli esordi con il suo Il coltello nell’acqua (Nóż w
wodzie, 1962). Il
suo primo lavoro è la sceneggiatura di Ingenui
perversi (Niewinni Czarodzieje, 1960), lavoro che nasce da
una sorta di
sfida con il regista del film, un Wajda già affermato, cui il nostro
contestava
l’inconsistenza del copione originale. Il nostro lo riscrive nel corso
di una
sola notte. In questo film recitano alcune delle più importanti
promesse del
cinema polacco, oltre agli stessi Jerzy Skolimowski, Roman Polański e
il loro
amico compositore Krzysztof Komeda, che si occuperà della musica di
tutti i
loro film fino alla sua prematura morte.
Successivamente
scrive i dialoghi de Il
coltello nell’acqua, opera prima, ma già
capolavoro, di Roman Polański.
Dopo alcuni corti,
arrivano negli anni ’60 i suoi quattro
lungometraggi girati in Polonia, attribuiti alla “novelle vague
polacca” detta
Nowa Fala”: Segni
particolari nessuno (Rysopis)
del ‘64, Walkover
del ‘65, Bariera
del ‘66 e Mani in alto
(Ręce do góry) del ’67.
Quest’ultimo non uscirà nelle sale se
non rimontato e integrato alla fine degli anni ’80.
Costretto, per
continuare a lavorare nel cinema, a emigrare
all’estero, sceglie come prima destinazione la Francia, dove gira Il vergine (Le Depart, 1967)
con l’attore
simbolo della Nouvelle Vague Jean Pierre Léaud.
Il nostro inizia un
vero e proprio pellegrinaggio in tutta
l’Europa, che danno vita a produzioni in Germania, Inghilterra e
Italia. In
ultimo tenta la fortuna in America.
In Italia lavora
con Claudia Cardinale in Le
avventure di Gerard (The Adventures of Gerard)
nel ’70, basato sui racconti del ciclo di Gerard di Arthur Conan Doyle,
e poi
anni dopo, nel’89, con Valeria Golino, Timothy Hutton e Nastassja
Kinski in Acque di
primavera (Torrents of spring), basato
sull’omonimo racconto di Ivan Turgenev, candidato alla palma d’oro a
Cannes.
Nasce invece in
Germania, seppur ambientato al Londra,
l’indimenticabile La
ragazza del bagno pubblico
(Deep end, 1970), forse il suo film più bello. In una
meravigliosa
sequenza di questo film, con sottofondo di Mother Sky dei CAN, si trova
un
cameo del mitico Cato, “personal trainer” dell’ispettor Clouseau nel La Pantera Rosa, nei
panni di un venditore
ambulante di hot dog.
Questa sequenza
viene ripresa nel film di stasera. In questo
caso il venditore di hot dog è Andrej Chyra, uno degli attori più
famosi in
questi anni in Polonia.
Durante
l’intervista al festival del cinema di Gdynia
abbiamo avuto il piacere di dire al regista che reputiamo la sequenza
de La ragazza del bagno
pubblico una delle più
belle della storia del cinema e che siamo stati molto felici di vederla
citata
in questo film a quarantacinque anni di distanza. Alla nostra
osservazione
Skolimowski ha ringraziato per i complimenti ed è si è fatto una bella
risata.
Ancora in Germania
gira Un
ospite gradito... per mia moglie (König, Dame, Bube) nel
’72 con Gina
Lollobrigida e David Niven, una commedia basata sul romanzo Re, donna, fante
di Vladimir Nabokov;
In Inghilterra è la
volta de L’Australiano
(The shout) nel ’78,
con Alan Bates, Susannah York e John
Hurt e di Moonlighting
dell’82 con
un bravissimo Jeremy Irons. Questo film, girato a ridosso della
dichiarazione
dello stato di guerra in Polonia, tratta proprio di questo tema.
Segue poi Il successo è la
miglior vendetta nell’84, film autobiografico in cui il
ruolo di
Skolimowski è interpretato da Michael York e in cui appaiono la moglie
del
regista Joanna Szczerbic insieme
ai due
figli Michał e Jòzef sotto falso nome, nel ruolo di se stessi.
In America
esordisce con La
nave faro (The lightship) nell’85 con Robert Duvall,
William Forsythe e
Klaus Maria Brandauer. A quanto pare sul set di questo film il nostro
metterà
in pratica il suo talento di boxer, rompendo il naso di quest’ultimo.
Nel ruolo
del figlio del protagonista vi è di nuovo il figlio Michał sotto falso
nome.
Torna in Polonia
con Thirty
door key nel ’91 tratto dal romanzo Ferdydurke
di Witold Gombrowicz, in realtà prodotto in collaborazione con
l’Inghilterra e
la Francia, in lingua inglese e con quasi tutti attori inglesi. Per ben 17 anni il nostro
smette di fare film
e si occupa solo di pittura. Il suo primo film dopo la lunga pausa,
questa
volta davvero polacco, è Quattro
Notti con Anna
(Cztery noce z Anną) del 2008. Seguono Essential
killing del 2010, in collaborazione con Irlanda, Norvegia
e Ungheria e
con Vincent Gallo nel ruolo del protagonista e, naturalmente, 11 minuti, anch’esso
in collaborazione con
l’Irlanda, ma in lingua polacca.
Ma veniamo al film
di stasera: è stato presentato a Venezia
nel 2015 dove il nostro aveva già vinto due volte il premio della
giuria con La nave faro
nel 1985 e con Essential
killing nel 2010.
In Italia il film
ha diviso, a taluni è piaciuto mentre
altri lo hanno trovato troppo difficile da capire. Lo stesso in
Polonia, anche
se in genere la critica polacca lo ha considerato troppo superficiale:
pochi
contenuti seppur in una bellissima forma.
Come Thirty door key, Quattro notti con Anna,
e parte di Essential
killing anche questo film è girato in
Polonia, in particolare a Varsavia.
Potrebbe sembrare
un omaggio a questa splendida città, ma
nell’intervista cui abbiamo partecipato a Gdynia, parlando della
location,
Skolimowski afferma piuttosto provocatoriamente:
“Ho scelto Varsavia solo
perché mi serviva una città moderna, tecnologica, con tanti
grattacieli. Poteva
essere una città qualunque, ma dato che vivo a Varsavia mi è sembrato
più
comodo girare lì”.
Forse si è preso la
soddisfazione di deludere i suoi
compatrioti dai quali, dopo il suo esilio volontario, si è sentito in
qualche
modo rinnegato.
Durante i suoi 17
anni di “vacanza dal cinema” Skolimowski
si è occupato anche di action painting. Forse influenzati da questo,
abbiamo
visto questo film proprio come action painting: così come il pittore
lancia il
colore sulla tela, il regista abbozza con i suoi fotogrammi
perfettamente
inquadrati pochi minuti della vita di vari personaggi che non hanno
nulla a che
vedere l’uno con l’altro. Il risultato è un tutto che racconta una
storia della
quale il vero protagonista è il caso. Lo stesso montaggio frammentario
e
funambolico, che ha vinto vari premi, richiama questa tecnica pittorica.
La concezione della
trama di questo film da parte del
regista, invece, è forse l’inverso dell’action painting, perché di
fatto
Skolimowski afferma di aver creato prima la fine, che non vi
racconteremo, e di
essere poi andato a ritroso creando tutto il resto.
La chiave di
lettura che lui stesso ci ha dato a Gdynia è
“cattiva stella”: con questo film il regista afferma di non voler
raccontare
verità filosofiche o politiche, ma di voler raccontare solo “il caso”.
E
poiché, come egli stesso afferma, è reduce da un periodo molto triste
della sua
vita che lo porta a temere continuamente la catastrofe, racconta in
particolare
quello “sfortunato”.
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