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IL CINEAMATORE il sito del Cinema Zuta
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40° edizione del Festival del
cinema di Gdynia del 2015
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Anche
quest'anno il Cinema Zuta è andato in trasferta per seguire il Festival
del cinema di Gdynia, questa volta all'insegna della commedia
e
costellato di film leggeri, piacevoli e allo stesso tempo fatti ad
arte.
Rimangono le usuali sezioni che vanno dal cinema "main stream" a quello
giovane, dando spazio al cinema indipendente nella sezione "Altro
Sguardo". Non mancano i "Gioielli del Cinema Prebellico", quest'anno
rallegrati dalla celebre commedia Ada,
to nie wypada (trad. Ada, è sconveniente) di Konrad Tom.
Nella sezione "Classico puro" troviamo
Lekcja martwego języka (trad. Lezione di lingua morta) di
Janusz Majewski del 1979, Mój
Nikifor (trad. Il mio Nikifor) di Krzysztof Krauze del
2004, la commedia Nie
lubię poniedziałku (trad. Non mi piace il lunedì) di
Tadeusz Chmielewski del 1971 e infine il bellissimo Zmory (trad. Incubi)
di Wojciech Marczewski del 1978.
Le conferenze stampa dopo la proiezione del film, organizzate in una
saletta adiacente e non più nella sala grande del Teatr Muzyczny,
ci hanno permesso ugualmente di avvicinarci ad attori e registi, e ci
ha consentito di farci firmare un autografo da
Jerzy Skolimowski in persona e persino di farci fotografare con
lui!
Sul lungomare e nei locali nei dintorni abbiamo incontrato Agata
Kulesza, la "zia di
Ida", Marian Dziędziel, uno dei comici più famosi del momento, Tomasz
Schuchardt, attore camaleontico, e la dolcissima Justyna Suwała,
protagonista del premiatissimo Body/Ciało.
A colazione in un bar fuori mano, struccata e irriconoscibile, abbiamo
visto una delle protagoniste di Elle:
la carinissima Joanna Kulig.
Tra il
pubblico abbiamo visto Jan Nowicki, seduto a poche poltrone di distanza
da noi con Jerzy Skolimowski, e Małgorzata Szumowska e Maja
Ostaszewska, con le quali abbiamo anche scambiato due parole.
Quest'anno la mostra di poster e locandine cinematografiche era
dedicata a Roman Polanski.
I
premi ufficiali dell'anno 2015 e i premi secondo noi
|
Premio |
Film vincitore ufficiale |
Artista |
La nostra scelta |
Artista |
Leone
d’oro |
Body/Ciało |
Małgorzata
Szumowska |
11 minut |
Jerzy
Skolimowski |
Leone
d’argento |
Excentrycy, czyli po
słonecznej stronie ulicy |
Janusz
Majewski |
Excentrycy, czyli po
słonecznej stronie ulicy, Body/Ciało |
Janusz
Majewski, Małgorzata Szumowska |
Premio
speciale della giuria |
11 minut |
Jerzy
Skolimowski |
Demon |
Marcin
Wrona |
Regia |
Intruz |
Magnus
von Horn |
11 minut |
Jerzy
Skolimowski |
Sceneggiatura
|
Intruz |
Magnus
von Horn |
- |
- |
Fotografia |
Letnie przesilenie |
Jerzy
Zieliński |
11 minut |
Mikolaj
Lebkowski, Bernard Walsh |
Scenografia |
Hiszpanka |
Jagna
Janicka |
Excentrycy,
czyli po
słonecznej stronie ulicy |
Andrzej
Haliński |
Costumi |
Hiszpanka |
Dorota
Roqueplo, Andrzej Szenajch |
Excentrycy,
czyli po
słonecznej stronie ulicy
|
Elżbieta
Radke |
Musica |
11 minut |
Mikołaj
Trzaska |
11 minut |
Paweł
Mykietyn |
Suono |
Body/Ciało |
Marcin
Jachyra, Kacper
Habisiak, Marcin Kasiński |
11 minut |
Radosław
Ochnio |
Montaggio |
11 minut, Intruz |
Agnieszka
Glińska |
11 minut |
Agnieszka
Glińska |
Caratterizzazione |
Córki Dancingu |
Janusz
Kaleja
Tomasz Matraszek |
Córki Dancingu |
Janusz
Kaleja
Tomasz Matraszek
|
Protagonista
femminile |
Obce niebo |
Agnieszka
Grochowska |
Body/Ciało |
Justyna
Suwała |
Protagonista
maschile |
Anatomia zła,
Body/Ciało |
Krzysztof
Stroiński, Janusz Gajos |
Body/Ciało |
Janusz
Gajos |
Ruolo
secondario femminile |
Letnie przesilenie |
Maria
Semotiuk |
Demon |
Agnieszka
Zulewska |
Ruolo
secondario maschile |
Excentrycy, czyli po
słonecznej stronie ulicy |
Wojciech
Pszoniak |
Excentrycy, czyli po
słonecznej stronie ulicy
|
Wojciech
Pszoniak
|
Debutto
alla regia |
Córki Dancingu |
Agnieszka
Smoczyńska |
- |
- |
Attrice
debuttante |
Body/Ciało |
Justyna
Suwała |
Body/Ciało |
Justyna
Suwała |
|
11 minut
|
Skolimowski non
invecchia e non
si smentisce girando un film
corale dalla fotografia chiara, nitida e scintillante come la Varsavia
dei
grattacieli in cui si svolge. La pellicola, infatti, è girata tra
l’Hotel
Continental e il Warsaw Financial Center
sulla
strada Emili Plater, con vista sulla sede della Ernst Young che si
trova sul
Rondo ONZ,
con
una bella scena d’azione corredata di effetti speciali in cui si
riconosce
chiaramente l’incrocio tra le vie Królewska, Twarda e Grzybowska.
Sembra un omaggio a
questa
meravigliosa città, e in
particolare ai suoi quartieri più moderni e tecnologici dove un cielo
limpidissimo si specchia sui vetri lucidi dei grattacieli. Ma il
regista
sminuisce e svicola: voleva ambientare un film in una metropoli
moderna, e dato
che vive a Varsavia e che ne conosceva gli angoli più interessanti gli
è venuto
naturale ambientarvi la pellicola.
Si sa che il nostro
non ha un
carattere facile, si dice che
abbia preso a pugni Klaus Maria Brandauer durante le riprese di The Lightship, o
forse semplicemente non vuole
dare troppa soddisfazione al pubblico polacco. Forse non gli va ancora
giù che
questi l’abbia in qualche modo rinnegato durante gli anni del suo
esilio
forzato prima in Belgio e in Francia, poi in Germania, Inghilterra e
infine in
America.
Durante
l’intervista
che segue
la presentazione del film a
Gdynia Jerzy Skolimowski è gentile, disponibile a rispondere alle
domande e ha
l’aria da vecchio signore distinto, elegante, con i capelli
bianchissimi un po’
lunghi sul collo e pettinati all’indietro. E’ diverso da come ce
l’aspettavamo,
diverso da quando faceva pugilato e si prendeva le botte da Tadeusz
Łomicki, ed
è controllato a vista dalla sua partner d’affari e produttrice Ewa
Piaskowska.
Ciò non ci vieta di farci due chiacchiere e scattare una fotografia
insieme a
lui.
Dice che il film è
l’espressione del fatto che nel mondo non
c’è mai nulla di certo, niente può essere dato per scontato. Qualcuno
dal
pubblico della conferenza stampa paragona questo film a poesia tradotta
in
immagini. Jerzy
Skolimowski, infatti, è
anche poeta, anche se afferma di aver tentato di comprare tutte le
copie
pubblicate dei suoi versi perché se ne vergognava. Dice anche di aver
deciso di
fare la boxe proprio per compensare questa sua propensione con qualcosa
di più
fisico e virile.
Ciò che vediamo noi
in questa
pellicola, invece, è il gioco:
il gioco virtuosistico del montaggio di Agnieszka Glińska, che ha
infatti vinto
il premio al festival di Gdynia. Il gioco della suspense che fa pensare
in
tutto e per tutto a un film di genere catastrofico: i suoni fortissimi
e
improvvisi, la musica incalzante, la goccia che risale lungo il muro
come il
ritrarsi del mare prima dello tzunami, l’uccello entrato dalla finestra
di una
camera d’albergo che si schianta contro uno specchio che va in mille
pezzi, il
punto nero nel cielo, pixel mancante, un aereo che vola bassissimo
dietro i
grattacieli associato al continuo ritorno del numero 11.
Ci aspettiamo un
attentato, un
evento naturale catastrofico,
la fine del mondo. Ma, come dice il regista stesso durante le poche
parole di
presentazione prima del film, si tratta soltanto di una “cattiva
stella”. E
specifica che così deve essere preso questo film, non come un gesto
politico,
impegnato, non come un trattato filosofico, ma solo come l’espressione
di una
cattiva stella.
Infatti non ci
spiega
niente:
non sappiamo perché il marito
geloso abbia un occhio nero il giorno dopo il suo matrimonio, non
sappiamo
perché il venditore di hot dog fosse in prigione, e perché la
studentessa lo
guardi con tanto disprezzo. Non sappiamo perché il pulitore di vetri
che si
arrampica sul grattacielo-albergo con la sua fidanzata stiano parlando
di un
attore di film porno e nemmeno perché la ragazza col cane abbia
litigato con il
suo fidanzato. Non abbiamo idea del motivo per cui il signore con la
moglie
incinta stia dando in escandescenze e butti un armadio giù dalle scale,
e di
cosa facciano delle suore in via Grzybowska mangiando hot dog. E il
pixel
mancante nel cielo…
E in mezzo a tutto
questo non
detto, ecco apparire Jan
Nowicki, l’eroe di Bariera,
di nuovo diretto
da Skolimowski dopo quasi cinquant’anni. Qui appare come anziano
pittore che su una spiaggia della Vistola dipinge il panorama e,
inavvertitamente, macchia il foglio con una goccia d’inchiostro proprio
nel punto in cui si trova il pixel mancante. E poi c'è la figura del
venditore di hot dog, qui incarnato dalla stella del momento Andrzej
Chyra, che sta a ricordare, come abbiamo detto allo stesso regista, una
delle scene più belle della storia del cinema: quella in cui l’attore
Burt Kwouk, il mitico Cato della Pantera
Rosa,
vende hot dog al protagonista de La
ragazza del
bagno pubblico.
Le scene si
ripresentano
svariate volte, ogni volta riprese
da un punto di vista diverso. Questa ripetizione, che disegna una linea
temporale a zig zag, sembra un’evoluzione post-moderna del “cubismo
temporale”
di Wojciech Jerzy Has, regista sicuramente congeniale a Jerzy
Skolimowski, che
condivideva con lui un certo gusto per il surreale e una simile
sensibilità per
l’estetica e per il sonoro.
Tutto questo non ci
ha fatto tanto pensare alla poesia, quanto all’action painting: il
regista ci regala degli schizzi di vita contemporanea, li lascia cadere
così, come casualmente, sulla pellicola. E questa forma “casuale” è
strettamente legata al contenuto: tutto ciò che accade nel film è,
appunto, solo una questione di cattiva stella. La forma del film,
schizzata, abbozzata e allo stesso tempo incredibilmente equilibrata,
nitida e definita, è piena espressione di come il regista, e quindi
l’essere umano, assista impotente agli effetti della frammentarietà e
della casualità del mondo. Di un mondo, non si può negare,
esteticamente bellissimo anche nella sua crudeltà. L’insieme degli
schizzi, arricchito qua e là da qualche cameo, risulta infatti
bellissimo da vedere.
Il film sarà
candidato
all’Oscar come miglior film straniero:
ci chiediamo se il fatto che Ida
l’abbia
vinto l’anno scorso non possa precludere una eventuale ulteriore
vittoria
polacca. Perché nel caso ci sembrerebbe davvero scandaloso che Ida rubi l’Oscar a
Skolimowski. Ma infondo
Godard non aveva detto a quest’ultimo: “Non preoccuparti di quello che
scrivono i critici americani sul tuo cinema: io
e te, noi siamo i migliori registi del mondo”?
… o forse sono solo
pettegolezzi.
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Demon
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Piotr arriva in
Polonia
dall’Inghilterra per sposarsi con la
sua bellissima fidanzata Żaneta. Ha intenzione di rimanere a vivere nel
piccolo
paesino di campagna dove vive la ragazza e di lavorare insieme al suo
futuro
suocero, poiché lei è molto legata alla sua terra e non vuole vivere
altrove.
Il futuro suocero regala loro una villa nei dintorni, bellissima ma
molto
fatiscente. Piotr intende restaurarla per poi viverci con la futura
moglie.
Non appena inizia i
lavori,
scavando trova nel terreno delle
ossa umane sepolte vicino ad un albero del giardino. Deciso a non dire
nulla
alla moglie per evitarle preoccupazioni a ridosso del matrimonio, passa
la
notte prima della cerimonia da solo in quella casa tetra, in preda a
incubi e
deliri. Dopo aver sognato di sprofondare nel fango proprio nel punto in
cui ha
trovato le ossa, lo svegliano al mattino il futuro cognato con l’amico “Ronaldo”. Si
ritrova chiuso nella
propria auto, con il fango sotto le unghie e nelle orecchie.
Da questo punto in
poi la
pellicola si trasforma in
una versione moderna e rivisitata de “Il
Dybbuk”, cui si aggiunge una buona dose di ironia, di horror e di scene
di vita
familiare della Polonia contemporanea. La
compenetrazione di questi generi crea un film originale e piacevole,
oltre che
difficilmente catalogabile.
Come horror è
piuttosto
atipico, considerato il fatto che
parallelamente all’incubo in cui viene scaraventato il povero sposino i
festeggiamenti del matrimonio continuano ininterrotti, e quasi nessuno
degli
invitati si rende conto di ciò che sta accadendo. Tuttavia non mancano
colpi di
scena, fantasmi vaganti di graziose fanciulle morte anni prima, persone
che
scavano di notte sotto la pioggia, buchi nel fango che appaiono e
scompaiono,
foto misteriose di antenati e persino esorcismi.
Non mancano nemmeno
elementi, a
mio parere, molto polacchi,
come le scene del matrimonio con i suoi festeggiamenti interminabili
che
ricordano quelli di Wesele,
oppure le
riunioni familiari che terminano puntualmente in grandi bevute
collettive come
in 33 scene di vita
di Małgorzata
Szumowska.
Sullo sfondo,
tuttavia, si
trova anche una riflessione pregnante,
sebbene non troppo invadente, sulla storia nazionale. E’ incarnata dal
personaggio di Szymon Wentz, l’insegnante ebreo che ha vissuto
l’olocausto e
che con malinconia ricorda come era il paese prima dei noti tragici
avvenimenti. Forse in questo film il regista ha voluto attribuire al
moderno
Dybbuk l’espressione violenta del senso di colpa polacco già espresso
in molti
altre pellicole antiche e moderne, non ultima la pluripremiata e
notissima Ida.
O forse il film ipotizza una sorta di
vendetta ebraica, un po’ come ha fatto Tarantino nel il suo Inglorious Basterds.
Non mancano i
momenti esilaranti, come quando il dottore dice di non bere mai
mentre è ubriaco fradicio, o quando il povero posseduto esclama
“Teufel, teufel” (Diavolo in tedesco) e gli invitati capiscono Taiwan,
o nella scena in cui due invitati salgono sull’automobile inglese del
protagonista e quello che doveva guidare, che in teoria era meno
ubriaco dell’altro, si ritrova al posto del passeggero. Sta di fatto
che il risultato non è affatto male, e pare che al festival di Toronto
sia stato molto apprezzato.
La pellicola è
frutto di una
produzione polacco-israeliana,
con attori bravissimi e di grande esperienza a dispetto della giovane
età. È bravo
il protagonista, l’attore ebreo Itay Tiran, ed è da notare Tomasz
Schuchardt
nei panni del fratello della sposa. Qui si ritrova infatti in un ruolo
alquanto
diverso da quello del perfido biondino di W
imię… di Małgorzata Szumowska o da quello del frustrato
padre di
famiglia che tenta di incollarsi il collo sul fondo della vasca da
bagno con la
super colla in Kebab
& Horoskop di
Jaroszuk.
Bellissima e
bravissima è anche
Agnieszka Żulewska, la
sposina, che a meno di trent’anni vanta già nel suo curriculum una
decina di
lungometraggi e svariate serie tv. Rimane anche in mente il personaggio
di
“Ronaldo”, misterioso e ambiguo, palesemente innamorato di Żaneta e
interpretato da Tomasz Ziętek. Anche il cast dei personaggi più anziani
è
composto da attori dai curriculum invidiabili.
Il regista,
quarantenne ex
giocatore di basket nonché allievo
della scuola di Wajda, avrebbe potuto con molta probabilità diventare
qualcuno,
se non fosse per la sua morte improvvisa. Proprio la mattina dopo aver
assistito alla presentazione di Demon
al
festival di Gdynia, infatti, siamo venuti a sapere che Marcin Wrona è
stato
trovato dalla moglie, con cui era sposato da soli quattro mesi,
impiccato in
una stanza d’albergo.
Una fine piuttosto
sconvolgente, anche perché simile in modo
inquietante a quella del suo personaggio.
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Excentrycy, czyli po słonecznej
stronie ulicy
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Regia:
Janusz Majewski |
Fabian, emigrato in
Inghilterra
durante la seconda guerra
mondiale, decide di tornare a vivere nella Polonia comunista degli anni
’50. Lo
ospita sua sorella Wanda, che fa la dentista ed è gravemente ammalata.
Fabian è
un trombettista appassionato di swing e pieno di iniziativa, e illumina
con la
sua musica la tranquilla e pigra cittadina di Ciechocinek e le vite dei
suoi
abitanti.
Presto si scontra,
ma non in
modo troppo traumatico, con le
difficoltà della vita ai tempi del regime: è costretto a pagare una
bustarella
per ritirare la sua meravigliosa decapottabile rossa arrivata in nave
dall’Inghilterra, viene spesso contattato da strani individui che gli
parlano
in codice pensando che sia una spia e le autorità controllano ogni sua
mossa.
Ma, nonostante tutto, riesce a mettere su una big band che suona lo
swing.
I musicisti sono
tutti strambi
personaggi che per la maggior
parte hanno una certa età, e che si offrono volontari, ognuno col suo
strumento,
per creare una band che avrà un enorme successo. Il più divertente tra
tutti è
senza dubbio il pianista, il signor Zuppe, interpretato magistralmente
da
Wojciech Pszoniak, attore, giusto per fare qualche esempio, di Korczak e di La
terra promessa di Wajda. Wanda, che ha dei trascorsi
musicali,
nonostante i suoi problemi di salute canta nella band insieme a
Modesta, una
misteriosa e bellissima femme fatale dai capelli neri che Fabian
conosce una
notte in un albergo di Danzica.
Excentrycy ha tutto
l’aspetto di un film noir, seppur coloratissimo, con tanto di donna
fatale che
si rivela essere una spia e con i personaggi tagliati con l’accetta. In
realtà,
però, è più una commedia con un “quasi happy ending” in cui Wanda, a
cui
sembrava restare poco tempo da vivere, improvvisamente guarisce. Quando
Janusz
Majewski l’ha presentato a Gdynia, ha detto che il film è
disinteressato, leggero
e “senza impegno”, perché così ha voluto che fosse.
In realtà è anche
un bellissimo
spaccato di un’epoca, con
costumi, musica e ambientazioni davvero autentici. Guardando la
pellicola ci si
sente catapultati negli anni cinquanta polacchi, molto più di quanto
accada
guardando il patinato e palesemente contemporaneo bianco e nero di Ida (nonostante sia
stato ritagliato in rapporto
d'aspetto 4:3 per apparire più demodé).
Non mancano momenti
di pura
comicità quasi demenziale. Per
metà sono monopolizzati dal
signor
Zuppe, che cita i passaggi di tutti gli autori nazionali più importanti
evidenziandone i passaggi che ne dimostrano, a suo parere,
l’omosessualità. Per
il resto sono monopolizzati dal personaggio di Bayerowa, interpretato
da Anna
Dymna, una donna dal passato glorioso cui il regime ha tolto tutto, e
che, dopo
anni di inattività e alcolismo, è costretta ad alzarsi dal letto per
andare a
lavorare in un bagno pubblico. Qui vende i pezzi di carta igienica e
regala
battute impertinenti.
Il protagonista è
interpretato
da Maciej Sthur, figlio del
famoso Jerzy, bravissimo attore quarantenne dalla lunga esperienza
sullo
schermo. Le due attrici che danno corpo, e soprattutto voce, a Wanda e
Modesta
sono rispettivamente Sonia Bohosiewicz e Natalia Rybicka, ambedue un
po’ sopra
le righe, ma probabilmente per volere del regista. Regista che, bisogna
dire,
ha girato il suo primo film a metà degli anni ’50 e che quindi vanta un
curriculum lungo quanto quello di Wajda e quasi altrettanto prestigioso.
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Córki dancingu
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Regia:
Agnieszka Smoczyńska |
In anni ottanta
polacchi poco
probabili, pieni di disco
music e luccichii di paillettes e palle stroboscopiche, una bizzarra
band
familiare trova su una spiaggia della Vistola due sirene: Srebrna e
Złota
(Dorata e Argentata). Le due creature, apparentemente ingenue e molto
provocanti,
fanno innamorare tutti e la band, composta di padre percussionista,
figlio
bassista e madre vocalista, decide di prendersene cura.
Le sirene, per loro
natura,
cantano benissimo e per di più
non conoscono pudore. Per questi motivi sono subito bene accette nel
locale di
dubbia reputazione in cui lavora la band. Il maestro di sala è un uomo
piuttosto
viscido con i baffetti e grande fiuto per gli affari, e le scrittura
subito per
i successivi spettacoli. Il pubblico va in visibilio.
Quando le due hanno
sembianze
umane sono prive di organi
sessuali, ogni tanto devono essere gettate in piscina e quando entrano
in
contatto con l’acqua scompaiono loro le gambe e al loro posto appare
una lunga
coda di pesce alquanto realistica. Per il resto le due ragazze sembrano
in tutto
e per tutto normali.
Inizia una storia
d’amore tra
Srebrna e il giovane bassista,
inizialmente platonica. Srebrna decide di diventare un essere umano per
rimanere con lui per sempre, ma Złota la mette in guardia, perché nel
caso in
cui non riuscisse a farsi sposare da lui, sarebbe costretta a
mangiarselo,
oppure a trasformarsi in schiuma.
Ma lei è decisa e,
pagato un
chirurgo con delle caramelle,
si sottopone ad una terribile operazione in cui questi divide in due il
suo
corpo e le attacca le gambe di un’altra ragazza che a sua volta voleva
diventare sirena. Il suo nuovo corpo, che inizialmente assomiglia a
quello di Frankenweenie
di Tim Burton, fa fatica a riprendersi e la ragazza deve utilizzare per
un po’
la sedia a rotelle e poi le stampelle.
Questo rovina
l’atmosfera
idilliaca tra i due ragazzi, finché
lui si stufa e decide di sposare un’altra. Nel frattempo Złota se ne va
spesso in
giro da sola, e improvvisamente iniziano i ritrovamenti di strani
cadaveri
lungo le spiagge della Vistola dilaniati da denti di animali non ben
identificati.
Il giorno del
matrimonio del
bassista, Złota cerca di
convincere Srebrna a mangiarsi il suo amato per poter sopravvivere, ma
lei si
rifiuta e viene trasformata in schiuma. Złota per la rabbia divora il
giovane malcapitato.
Questa atipica
rivisitazione
della sirenetta di Andersen è
una commistione di numerosi stili, dall’horror splatter, con tanto di
schizzi
di sangue e brandelli di carne in vista, al musical pop anni 70-80, con
lustrini,
palle stroboscopiche e inquadrature ricche di rossi, azzurri intensi e
luccichii d’oro e d’argento. Non manca qualche scena un po’ allusiva e
osé,
mentre i testi delle canzoni sono maliziosi e non di rado
comico-demenziali.
Il film ha vinto il
premio per
il miglior esordio alla
regia. In effetti c’è voluto un bel coraggio da parte della regista
poco più
che trentenne Agnieszka Smoczyńska per iniziare la propria carriera nel
cinema
di finzione con un film così, che risulta certamente originale ma che
rischia
più volte di scadere nel Kitsch o in un macabro cattivo gusto. Potrebbe
essere
definita Kitsch anche la stessa collocazione della storia nella città
di
Varsavia, considerato che la sirena è il simbolo stesso della città.
Città che
qui risulta oscura, ostile, e quasi spaventosa e che ha molte attinenze
con la
Varsavia della gioventù perduta di
Hardkor
Disko, che condivide con
questa
pellicola lo stesso sceneggiatore Robert Bolesto.
Gli attori sono
bravissimi: è
molto pop Kinga Preis con i
riccioli biondissimi e i rossetti brillanti nei panni della vocalista,
così
lontana dalla moglie di Socha in W
ciemności (titolo
italiano: Nell’oscurità) di Agnieszka Holland e dalla Anna
di Cztery noce z Anną
(titolo italiano: Quattro notti con
Anna) di Jerzy Skolimowski. Alquanto viscido risulta
l’oramai anziano
Zygmunt Malanowicz con quei baffetti, nei panni del direttore di sala,
irriconoscibile per chi lo ricorda come il ragazzino ribelle di Nóż w wodzie (titolo italiano: Il
coltello nell’acqua)
di Polański. Le due sirene sono attrici molto giovani ma con una buona
esperienza alle spalle, mentre il bassista è incarnato dall’attore
Jakub
Gierszał, già visto nel ruolo di protagonista del discutibile ma
apprezzato
film Sala samobójców
(titolo italiano: La stanza
dei suicidi) dell’allora trentenne Jan Komasa, uno dei
rarissimi film
polacchi contemporanei ad essere proiettato in Italia.
Seppur nel
complesso non sia un
film eccezionale, Córki
dancingu resta comunque in mente a lungo
per le sue ambientazioni, per le sue musiche datate e per le sue
atmosfere a
tratti Burtoniane: da ricordare la scena dell’incipit, in cui Kinga
Preis e il
resto della band cantano I
feel love
di Donna Summer del 1977 su una spiaggetta di sabbia della Vistola.
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Moje córki krowy
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Marta è un’attrice
di successo
che recita in serial televisivi
di dubbio gusto, ha una figlia e nessun marito, mentre Kasia è una
madre di
famiglia frustrata con un marito disoccupato e un figlio adolescente. A
causa
di una grave malattia della madre, le due donne sono improvvisamente
obbligate
a frequentarsi e a collaborare nell’assistenza al padre oramai anziano,
che non
riesce ad accettare la situazione e a cavarsela da solo. Presto
scoprono che
anche il padre è gravemente malato.
Moje córki krowy è
dunque un film sui
difficili rapporti familiari e nonostante
la tragicità della trama non può che essere definito una commedia.
Prima di
tutto il tono e il linguaggio sono quelli della commedia, poi, last,
but not
least, nel cast c’è Marian Dziędziel nei panni del padre. Questo attore
quasi
settantenne è presente in buona parte delle pellicole polacche di
genere e ha
una comicità innata che non dà adito a dubbi.
A lui si aggiunge
un’altra
macchietta: il personaggio del
marito di Kasia, un Marcin Dorociński in versione “bifolco insensibile”
che
davvero poco gli si addice e per la quale, a mio parere, nonostante la
pancia
finta non ha affatto il physique du rôle. Forse stava meglio nei panni
di Jack
Strong.
Marta è Agata
Kulesza, attrice
che spesso si vede in ruoli
duri, sofferenti e arrabbiati col mondo. Un esempio più che noto si
trova in Ida,
dove dà vita al personaggio della zia
alcolizzata e depressa, devo dire in modo piuttosto piatto e privo di
tensione.
In realtà in Moje córki
krowy è molto più
credibile, perché riesce a dare al suo personaggio, spesso immusonito e
chiuso
in se stesso, tocchi di spensieratezza e humor, anche grazie al suo
sorriso
capace di cambiare completamente il suo volto.
Kasia è Gabriela
Muskała, anche
lei adorabile nella sua
parte un po’ svampita e un po’ pericolosa che ricorda certi personaggi
di Ewa
Dałkowska, ad esempio in Bez
znieczulenia
(titolo italiano: Senza anestesia) di Wajda o in Rok spokojnego słońca (titolo
italiano: L’anno del
sole quieto) di Zanussi: forse le due attrici hanno un
modo simile di recitare
e non escluderei che si somiglino un po’ anche nella realtà, sebbene
appartengano a due generazioni diverse.
Da salvare, oltre
alle due
protagoniste, un paio di gag
divertenti: quando la receptionista dell’ospedale si fa fare
l’autografo da
Marta poi, appena rimasta sola, dice qualcosa come “Ma che stella e
stella!”, o
quando il padre vede delle mucche che pascolano in un campo e dice alle
figlie:
“Ecco, guardate le vostre colleghe!”.
In questa pellicola
i
personaggi riescono a ridere
nonostante la spirale di morte e malattia che li circonda, e spesso
ridono
proprio della morte e della malattia, un po’ come accadeva in 33 sceny z życia (trad. 33 scene
di vita) di Małgorzata
Szumowska. In effetti le attinenze con questo film sono un po’ troppe,
ma
mentre quest’ultimo aveva dalla sua l’estrema bravura della regista e
un certo
tocco di eccezionalità, Moje
córki krowy risulta
nel complesso ben fatto, equilibrato, senza difetti evidenti ma senza
infamia e
senza lode.
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Marta
Cardinale
e Francesco Prestia © 2015
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