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IL CINEAMATORE il sito del Cinema Zuta
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39° edizione del Festival del
cinema di Gdynia del 2014
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Il Festival
del cinema di Gdynia è ad oggi il più importante festival del
cinema in
Polonia e, salvo una piccola sezione che ogni anno propone un
avvicinamento ad un altro paese europeo, è dedicato interamente al
cinema polacco.
Il festival è composto da diverse sezioni tra le quali si trovano il
Concorso
Principale, in cui si collocanno autori e film che rappresentano il
cinema "main stream", il concorso Giovane Cinema, che dedica spazio
agli artisti emergenti, e le sezioni Altro Sguardo e Anteprime del
Cinema Indipendente, dedicate al cinema più sperimentale e
indipendente.
Non mancano proiezioni speciali di edizioni restaurate del vecchio
cinema, cui si aggiunge la sezione Gioielli del Cinema Prebellico, che
ha permesso al
pubblico
di assistere
alla proiezione "allungata" del divertentissimo ABC
Miłości di Michał Waszyński con la partecipazione di tre
irresistibili leggende della commedia polacca classica:
Adolf Dymsza, Konrad Tom e Kazimierz Krukowski.
Quest'anno era presente
anche una rassegna Classici
Meno Conosciuti dedicata al regista Janusz Nasfeter, mentre il paese
europeo prescelto per l'avvicinamento ad un "altro cinema" era la
Danimarca. In parallelo, è stato possibile visitare una meravigliosa
mostra di locandine cinematografiche da tutto il mondo, dedicata
esclusivamente ad Andrzej Wajda, al cui vernissage ha preso parte
l'attore Daniel Obrychski.
Il festival, quasi esclusivamente frequentato da polacchi, è
organizzato in modo da permettere un facile contatto con le star del
cinema e una buona possibilità di dialogo con essi: è facile
passeggiare nel foyer e poter fare due chiacchiere con attori del
calibro di Andrzej
Seweryn e Zbigniew Zamachowski o con registi come Lech Majewski.
Il Teatr
Muzyczny,
all'interno del quale si svolgono gli eventi più
importanti, si trova sulla spiaggia più centrale di Gdynia, proprio
dove inizia la
passeggiata lungomare. Ciò dà al festival un clima vacanziero quasi
come fosse un piccolo
Cannes, e rende possibile incontrare attori e registi seduti nei bar
sul
baltico al sole delle calde giornate di settembre.
I
premi ufficiali dell'anno 2014 e i premi secondo noi
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Premio |
Film vincitore ufficiale |
Artista |
La nostra scelta |
Artista |
Leone
d’oro |
Bogowie |
Łukasz
Palkowski |
Pod
mocnym aniołem |
Wojciech
Smarzowski |
Leone
d’argento |
Pod
mocnym aniołem |
Wojciech
Smarzowski |
Zbliżenia |
Magdalena
Piekorz |
Premio
speciale della giuria |
Obywatel |
Jerzy
Stuhr |
Onirica
– Psie Pole |
Lech
Majewski |
Regia |
Jack
Strong |
Władysław
Pasikowski |
Pod
mocnym aniołem |
Wojciech
Smarzowski |
Sceneggiatura
|
Bogowie |
Krzysztof
Rak |
Kebab
i
Horoskop |
Grzegorz
Jaroszuk |
Fotografia |
Hardkor
Disko |
Kacper
Fertacz |
Zbliżenia |
Marcin
Koszałka |
Scenografia |
Bogowie |
Wojciech
Żogała |
Onirica
– Psie Pole |
L.Majewski,
P. Tybora |
Costumi |
Jack
Strong |
M.Braszka,
M.Koralewski |
Obietnica |
Paulina
Sieniarska |
Musica |
Pod
mocnym aniołem |
Mikołaj
Trzaska |
Pod
mocnym aniołem |
Mikołaj
Trzaska |
Suono |
Miasto
44 |
Bartosz
Putkiewicz |
Pod
mocnym aniołem |
Mikołaj
Trzaska |
Montaggio |
Pod
mocnym aniołem |
Paweł
Laskowski |
Pod
mocnym aniołem |
Paweł
Laskowski |
Caratterizzazione |
Bogowie |
A.Hodowana,
A.Brzozowska |
Kebab
i
Horoskop |
Anna
Gorońska |
Effetti
speciali |
Miasto
44 |
Vit
Komrzy |
Onirica
– Psie Pole |
Paweł
Tybora |
Protagonista
femminile |
Miasto
44 |
Zofia
Wichłacz |
Obietnica |
Eliza
Rycembel |
Protagonista
maschile |
Bogowie |
Tomasz
Kot |
Zbliżenia |
Łukasz
Simlat |
Ruolo
secondario femminile |
Fotograf |
Elena
Babenko |
Zbliżenia |
Ewa
Wiśniewska |
Ruolo
secondario maschile |
Obietnica |
Dawid
Ogrodnik |
Kebab
i
Horoskop |
Janusz
Michałowski |
Debutto
alla regia |
Hardkor
Disko |
Krzysztof
Skonieczny |
Kebab
i
Horoskop |
Grzegorz
Jaroszuk |
Attrice
debuttante |
Hardkor
Disko |
Jaśmina
Polak |
Hardkor
Disko |
Jaśmina
Polak |
Attore
debuttante |
Jeziorak |
Sebastian
Fabijański |
Jeziorak |
Sebastian
Fabijański |
|
Pod mocnym
aniołem
|
|
Regia:
Wojciech Smarzowski |
Un film
insostenibile con una regia geniale. Uno
scrittore di successo ha il vizio del bere: la sua vita si dipana senza
soluzione di continuità tra il suo appartamento, il negozio di liquori,
il bar e la comunità di disintossicazione. Il regista ripropone le
stesse scene in cicli che si ripetono senza fine: Jerzy, il
protagonista, ogni volta che esce dalla comunità sale su un taxi, e il
tassista è sempre lo stesso, parlano delle stesse cose e poi, quando
scende davanti a casa sua, senza alcuna esitazione si dirige nel suo
bar abituale, che si chiama “Pod mocnym aniołem”, che vuol dire
qualcosa come “All’angelo onnipotente”. Nel bar ci sono sempre gli
stessi clienti che si alternano: ce n’è uno russo e uno tedesco, e
dicono sempre le stesse identiche frasi. E Jerzy ricomincia a bere,
precipitando in un abisso sempre più profondo.
Nemmeno l’amore lo
salva, non cambia mai nulla.
Forse cambiano soltanto le modalità fantasiose con cui torna in
comunità, accompagnato dopo essere stato trovato incosciente da un
poliziotto, dal garzone del negozio di liquori, dal vicino di casa o
dalla polizia chiamata dal suo stesso suocero.
La spirale si
chiude sempre di più, al punto che
il regista ad un certo punto salta tutte le fasi del ciclo, che oramai
lo spettatore conosce bene, riducendo la vita di Jerzy a un’unica scena
vista dall’alto: Jerzy si alza dal letto della comunità in pigiama,
gira intorno al letto, esce nel corridoio, svolta a destra, apre una
porta e si trova improvvisamente nel suo appartamento a bere, già
vicino al fondo del suo abisso. Il suo percorso è un cerchio, così come
in modo circolare si muove la telecamera intorno a lui quando è
ubriaco, dando allo spettatore un senso di stordimento, come avesse
bevuto anche lui.
Le persone che
vivono in comunità sono come lui,
ognuno ha la sua storia e ognuno la racconta, finché le storie si
confondono, e vediamo Jerzy completamente ubriaco ad una festa mentre
cerca di parlare con un importante regista, ma sappiamo che questa non
è la sua storia, ma quella del suo vicino di stanza Borys, interpretato
da Marcin Dorociński. Borys è un regista di successo, alcolizzato. Ogni
riferimento a Smarzowski è puramente casuale.
Qualcosa bisogna
anche dire sul montaggio e sulle
capacità attoriali di Robert Więckiewicz, ambedue di livello altissimo.
Il pubblico italiano ha probabilmente potuto vedere questo attore in
pochi ruoli: forse in Socha, il rassicurante polacco che salva gli
ebrei in Nell’oscurità di Agnieszka Holland. Poi, se l’ha riconosciuto,
lo potrebbe ricordare nei panni del Wałęsa di Wajda, così credibile da
sembrare più Wałęsa del vero Wałęsa. Ma in questo film questo attore
camaleontico ci svela un lato completamente diverso di se stesso.
In comunità i
pazienti guardano Pętla,
il film di
Wojciech Jerzy Has del 1957, e sono numerosi i riferimenti a questo
film disseminati nella pellicola di Smarzowski, a partire
dall’atmosfera allucinata fino ad arrivare al ripetersi dei dialoghi e
delle situazioni. Non a caso “Pętla”, oltre a significare “Cappio”,
quello con cui si impicca Kuba nel film del Has, è anche il luogo dove
il tram gira in tondo e poi ritorna sui suoi passi, per rifare sempre e
comunque lo stesso percorso.
Rispetto a questo
film, però, Pod mocnym aniołem è
più ottimista: nell’ultimo “ciclo” Jerzy in comunità ci va di sua
spontanea volontà, dopo aver chiesto a un poliziotto di fargli il test
del tasso alcolico. E ci arriva sulle sue gambe. E quando ne esce non
entra nel bar, ma rimane fermo in mezzo all’incrocio. Davanti a lui tre
strade. Quale sceglierà?
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Zbliżenia
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Dopo i suoi
precedenti film che in qualche modo raccontavano della mancanza
d'amore, Magda Piekorz ha deciso di provare a immaginare una storia in
cui ce ne fosse troppo.
Marta,
trentaduenne, vive una relazione di amore odio con una madre
possessiva, e che allo stesso tempo ha su di lei un forte ascendente.
Suo marito Jacek, interpretato da un bravissimo Łukasz Simlat, si trova
presto a dover fare da mediatore fra le due donne per salvare una
situazione che, oltre ad essere dolorosa, mette fortemente a rischio il
loro matrimonio.
Lo stretto legame
che stringe Marta a sua madre non le permette di crescere, maturare,
come dovrebbe: come dice la stessa regista Marta ha una gamba nell'età
adulta e una ancora nell'infanzia. Per questo la madre sostiene che non
può pensare di avere un figlio. Marta si ribella a quest'accusa, anche
se molti dei suoi comportamenti non fanno altro che confermare la sua
immaturità.
Nonostante il loro
rapporto simbiotico, ci sono momenti in cui le due donne sono
lontanissime, quasi estranee, e altre in cui si avvicinano. Per questo
la regista non ha intitolato il film "Vicinanza" ma "Avvicinamenti".
Quel
che è certo, è che l'eccessiva vicinanza tra le due donne non permette
loro di vedere la cattiva influenza che hanno l'una sull'altra. Solo la
madre, ad un certo punto, se ne rende conto, e chiede a Jacek di fare
qualcosa per prendere in mano la situazione e liberarle una dall'altra.
Ma poi tutto sembra tornare come prima, in un'atmosfera di tensione
familiare che quasi ricorda La
pianista di Haneke.
La sceneggiatura è
stata concepita dalla regista insieme al suo scrittore di fiducia con
cui ha collaborato in tutti i suoi precedenti film di finzione:
Wojciech Kuczok. In un'intervista al Polski Kot a Torino nel 2013,
Magda Piekorz ci ha raccontato che spesso la visione oscura e
pessimista di Kuczok viene bilanciata dalla sua, che è più solare e
positiva.
Il film termina col
suicidio della madre, e non abbiamo potuto fare a meno di chiederle,
questa volta durante il Festival di Gdynia, quale sia stata tra le due
visioni del mondo a prevalere in questo film. La risposta, che d'altra
parte ci aspettavamo, è stata che, nonostante le apparenze, il finale
non è affatto oscuro e pessimista, ma indica in qualche modo un'
apertura.
Non poteva che
finire così, in effetti, questo film, in cui si uniscono l'ottima
recitazione di tutti gli attori, una musica
sapientemente concepita e montata e una bellissima fotografia che
celebra
la fiorente città di Katowice, dove è nata la Piekorz.
Non mancano punte
di ironia che fanno sorridere, come la suoneria del cellulare che
ripete incessantemente: "Marta, qui mamma, rispondi", o la sequenza in
cui Marta bambina cerca la mamma, e poi, dopo uno stacco di montaggio,
sarà la Marta adulta a trovarla nel bagno a fumare.
Da ricordare: la
sequenza in cui Marta insegue Jacek passando da una stanza all'altra di
un edificio in costruzione, dove lo spettatore si rende conto solo in
un secondo tempo di trovarsi in un sogno e il
cameo di Andrzej Seweryn nei panni del meschino padre di
Marta, che invece di aiutarla con i debiti della
madre, le fa pagare il conto al ristorante.
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Kebab & Horoscope
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In un intervento al
Teatr Muzyczny di Gdynia durante la trentanovesima edizione del
festival del 2014, il pubblico, rigorosamente polacco, si è lamentato
del proprio cinema nazionale per il fatto che, togliendo i film di
genere storico, che piacciono sempre molto, privilegia trame troppo
seriose, per non dire troppo deprimenti e drammatiche. Ma questo non
vale certo per Grzegorz Jaroszuk, regista trentenne di Varsavia uscito
dal dipartimento di regia della famosa scuola di cinema di Łódź.
La commedia che ha
presentato a Gdynia, pur non priva di una buona dose di nero, è diversa
da tutto ciò che si è potuto vedere ultimamente sugli schermi polacchi:
un ex scrittore di oroscopi appena licenziato conosce in un negozio di
kebab un garzone, che si è appena licenziato proprio a fronte dei
consigli scritti sul suo oroscopo. I due, Kebab e Horoscope, diventano
soci e, ripuliti e incravattati, si fanno assumere in un negozio di
tappeti che non ha mai venduto un tappeto, per dare consigli su come
sviluppare il business.
Fra pause di totale
silenzio e immobilità in cui i personaggi si guardano tra loro con
espressioni tra il triste e il rassegnato, si sviluppano le storie
private dei commessi del negozio e del suo gestore, e si alternano le
rare frasi lapidarie dei due improvvisati consulenti che propongono
“esercitazioni” di dubbia efficacia che ricordano le strane usanze
nell’ufficio del Grande Capo di Lars Von Trier.
La stagista, dai
tratti particolarissimi dell’attrice Justyna Wasilewska, è costretta ad
ospitare a casa sua la propria madre che, appena andata in pensione, ha
deciso di ritrovare un suo vecchio amore e pretende l’aiuto della
figlia. La cassiera ospita in casa “il giapponese con lo sguardo più
triste del mondo”, venuto in Polonia per suicidarsi. Il commesso si
scopre essere l’infelice genero del gestore del negozio, padre di un
bambino piccolo e marito di una donna che, per renderlo felice, gli
parla solo ed esclusivamente di calcio. Il gestore, dal canto suo, ha
una moglie bella, bionda e ricca che finanzia il negozio in costante
perdita, ma è fermamente intenzionata a farlo chiudere.
All’arrivo dei due
“consulenti” l’immobilità totale che sembra aver preceduto la loro
presenza viene in qualche modo smossa: il gestore, con gran disappunto
della cassiera, si dichiara alla stagista che sembra assecondare le sue
avance. Il commesso prima tenta di uccidersi incollandosi la nuca al
fondo della vasca da bagno con la supercolla, poi ci prova anche lui
con la stagista. Il giapponese con lo sguardo più triste del mondo,
invece, decide di non morire più.
Chi non cambia è il
vecchio signore delle pulizie, che mangia solo dolci, mette cucchiaiate
di zucchero nella marmellata, si addormenta durante le “esercitazioni”
e fa proposte a dir poco sconce alla giovane stagista.
Senza dubbio
l’influenza principale è quella del cinema nordico. Le ambientazioni
minimaliste e i piani lunghi fanno pensare a Roy Anderson, così come il
montaggio rigido e le inquadrature a telecamera fissa. Anche l’ironia
schiacciante e nera ha molto di Roy Anderson, anche se l’utilizzo dei
colori non può che portare a Kaurismaki.
Purtroppo, però,
nonostante l’irresistibile e dissacrante ironia che lo pervade, questo
film non è piaciuto al pubblico polacco, che ha applaudito per più di
sei minuti un film simil-hollywoodiano sul chirurgo che fece il primo
trapianto di cuore in Polonia, e ha relegato questa pellicola tra le
ultime applaudendola per poco più di venti secondi. Peccato per questo
nuovo, giovane, promettente Kaurismaki polacco che ha aperto al cinema
del suo paese nuovi orizzonti.
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Onirica
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Chi conosce Lech
Majewski sa cosa aspettarsi da un suo film. Questo scrivono sui siti
web polacchi, affermando tra le righe che i film di Majewski possono
piacere solo allo stesso Majewski e pochi altri.
Anche fosse, l'abbiamo trovato interessante e, come sempre quando si ha
a che fare con una pellicola di questo regista, di notevolissimo
impatto visivo. Il film è stato girato, a dire dello stesso regista,
con l'obiettivo di una distribuzione piuttosto limitata, e durante
l'intervista che ha seguito la proiezione, protrattasi fino a tarda
ora, l'autore ha chiaramente affermato di non essere minimamente
interessato a imporre allo spettatore un certo modo di interpretare il
film.
Sicuramente il suo
è un film che si discosta di molto dagli altri che hanno preso parte al
concorso principale, ed è effettivamente difficile giudicarlo
mettendolo sullo stesso piano degli altri. Forse la sua pellicola
andrebbe inserita in una sezione a sé stante all'interno del concorso.
Dopo
l'ambientazione Bruegeliana di The
mill and the cross, gira questo film
nella contemporaneità urbana la cui atmosfera buia e piovosa da città
polacca autunnale contrasta con la luminosità di un enorme supermercato
privo di zone d'ombra dove si svolge la maggior parte dell’azione.
Un ragazzo, reduce
da un incidente d'auto in cui sono morti la sua compagna e il suo
migliore amico, abbandona il suo lavoro all'università e si mette a
lavorare in un supermercato. La sua vita reale si mescola con i sogni
generati dal suo stato di continuo dormiveglia, e le visioni che ne
conseguono sono costellate di riferimenti danteschi e situazioni
surreali: si ammirano corsie piene di prodotti ordinatissimi e
pavimenti perfettamente lucidi in cui chi fa la spesa sta immobile come
una statua, si assiste alla levitazione dei corpi del ragazzo e della
compagna, legati in un abbraccio come in un film di Rybczyński, e si
può chiaramente ascoltare l'amico che, col volto deturpato e
insanguinato dall'incidente mortale, parla del più e del meno come se
fosse vivo.
Per finire, un
aratro tirato da due buoi si fa avanti in una dei corridoi, sollevando
le piastrelle da cui fuoriesce terra scura, quasi a chiedersi se quei
prodotti colorati e imballati nella plastica non nascano proprio lì, in
mezzo agli scaffali del supermercato.
Non meno surreali
sono le conversazioni del ragazzo con la madre, unico essere umano con
cui quest'ultimo sembra avere un contatto: in una casa con le pareti
rosse e un'infinità di libri i due parlano di Kierkegard e leggono
Seneca.
Sullo sfondo,
durante tutta la pellicola, scorrono le immagini dei telegiornali che
riprendono gli avvenimenti più catastrofici avvenuti in Polonia negli
ultimi anni: tra questi si riconoscono i resti dell'aereo di Smoleńsk
caduto nel 2010 con tutto il governo polacco a bordo e le terre
alluvionate della Slesia.
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Jack Strong
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Regia:
Władysław Pasikowski |
Un film basato
sulla vita di Riszard Kukliński, un
personaggio molto discusso che ebbe grande influenza sugli avvenimenti
della guerra fredda dal dopoguerra fino agli anni ‘80. Dopo aver preso
parte a molti degli eventi salienti di quegli anni, partecipando anche
attivamente all’organizzazione dell’invasione della Cecoslovacchia nel
1968 da parte delle truppe del Patto di Varsavia, diventa colonnello
dell’Esercito Popolare. Dopo aver partecipato, seppur a malincuore,
alle decisioni relative al massacro dei lavoratori dei cantieri navali
di Gdynia e di Stettino a dicembre del 1970, inizia a collaborare con
la CIA passando informazioni segretissime sulle intenzioni bellicose
dell’Unione Sovietica nei confronti dell’Occidente. Grazie all’alto
ruolo che ricopre nell’Esercito e alle sue conoscenze nelle alte sfere
Sovietiche, ha infatti accesso a documenti e informazioni di enorme
importanza che fotografa e invia periodicamente alla CIA.
Il film crea
sicuramente suspense, spesso anche
con trucchi piuttosto banali da film di genere, ed ha numerosi difetti:
l’attore protagonista Marcin Dorociński, pur assomigliando non poco al
vero Kukliński, è troppo giovane per il ruolo che deve sostenere e a
mio parere non abbastanza convincente. Su alcuni elementi che
potrebbero in qualche modo dare spessore alle sue azioni e motivarle il
regista sorvola troppo velocemente, e il personaggio risulta così
troppo debole e insipido per convincerci di essere davvero capace di
fare quello che ha fatto. I personaggi collaterali, in particolare il
maresciallo Wiktor Kulikow e Sasza Iwanow, sono a tal punto
stereotipati da sembrare usciti il primo da una commedia e il secondo
da un film sulla mafia russa. Persino il bravissimo Zbigniew
Zamachowski, qui privato sia della sua comicità che di qualunque altra
connotazione, è costretto a interpretare un ruolo insipido e piuttosto
inutile.
Gli unici
personaggi che suscitano un po’ di
simpatia sono l’amico, che si uccide per il senso di colpa per i
proiettili che è stato costretto a sparare contro i lavoratori dei
cantieri nel ’70, e la moglie di Kukliński, interpretata da una tragica
e sempre bravissima Maja Ostaszewska.
Il tempo nel film
scorre a balzi, senza quasi
accorgercene vediamo i bambini diventare in pochi fotogrammi ragazzi
cresciuti, mentre durante quasi tutta la pellicola i loro genitori
sembrano avere la stessa età e la stessa pettinatura.
Altra pecca, questa
volta nella sceneggiatura, si
trova a mio parere nella sequenza in cui Kukliński comunica alla
moglie, con tutta l’aria di chi se n’è accorto solo in quel momento
quasi per caso, che si trovano davanti soltanto due possibilità:
scappare, rischiando la vita di tutta la famiglia, oppure restare, caso
in cui almeno la moglie e i figli sarebbero stati salvi. Qui il regista
e lo sceneggiatore sorvolano completamente su un possibile conflitto
interiore del personaggio, liquidando la sequenza con un’unica frase
lapidaria della moglie che decide, lei per tutti, che dovranno scappare
tutti insieme. Kukliński a questo punto non solo accetta immediatamente
questa decisione senza un’obiezione, ma sembra quasi sollevato.
Poco prima della
dichiarazione dello stato di
guerra in Polonia la famiglia Kukliński scappa negli Stati Uniti,
aiutata dai servizi segreti americani. Negli anni successivi in Polonia
viene condannato a morte per tradimento in contumacia. Con il tempo la
figura di Riszard Kukliński, considerato un traditore, viene
riabilitata fino a diventare quella di un eroe. Ora è sepolto con onore
nel cimitero militare Powązki di Varsavia, ma molti sostengono che
fosse un doppiogiochista e che in realtà collaborasse con l’Unione
Sovietica.
I suoi figli
muoiono alla fine degli anni ’80 in
circostanze non ben chiare. Il film, che inizia e finisce con un
Kukliński anziano che racconta la propria vita, si chiude con la morte
del secondo figlio, spinto fuori strada da un camion senza targa
proprio mentre stava andando a prendere il padre.
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Marta
Cardinale
e Francesco Prestia © 2014
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