MENU EVENTI 2019

IL CINEAMATORE

il sito del Cinema Zuta

Google
SW

ARCHIVIO EVENTI DEL CINEMA ZUTA

La documentazione raccolta dal Professor Algo per i nostri eventi al Cinema Zuta

Evento 1 del 23 febbraio 2019

 

Vai direttamente all'ascolto musicale

 

 

Vai direttamente ai bigliettini

 

L'ascolto musicale:

 

Kong
Neneh Cherry

Faster than the truth
Neneh Cherry

Part fourteen
Paul Kalkbrenner

 

 

Part eleven
Paul Kalkbrenner

Part six
Paul Kalkbrenner

7 Seconds
Youssou N'Dour ft. Neneh Cherry

 

 

- Kong di Neneh Cherry, dall’album Broken Politics del 2018

- Faster than the truth di Neneh Cherry, dall’album Broken Politics del 2018

- Part eleven di Paul Kalkbrenner, dall’album Parts of life del 2018

- Part fourteen di Paul Kalkbrenner, dall’album Parts of life del 2018

- Part six di Paul Kalkbrenner, dall’album Parts of life del 2018

- 7 seconds di Youssou N'Dour, fit. Neneh Cherry del 1994

 

Gli "Otto punti":

 

La tradizione dei bigliettini continua! I partecipanti possono scrivere su bigliettini di carta in modo anonimo le proprie impressioni a caldo sui film visti. I commenti vengono raccolti, messi in una scatola letti durante la cena. Il gioco prevede anche che si indovini l'autore di ogni bigliettino. Il testo dei bigliettini è riportato qui sotto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cabaret

 

1) Anche rivisto a distanza di tempo, è un film che riserva sempre sorprese. Il ritmo è straordinario, il cabaret fa da contraltare alle vicende reali grazie a un montaggio alternato spesso serratissimo (come nel caso del pestaggio dell’antinazista alternata una scena di musica molto ritmata). Il maestro di cerimonia è una specie di Corifei che commenta indirettamente l’esperienza e i problemi dei personaggi, dalla ricerca di soldi, alla scoperta dell’amore, al triangolo sentimentale eccetera, fino alla scena chiave del coro nazista nella birreria. a volte un po’ kitsch, a volte un po’ melodrammatico, riesce comunque a dare un senso anche agli elementi più grotteschi come la bizzarra popolazione del cabaret o gli arredi cupi e strapieni di oggetti, e si presenta in definitiva come un’opera matura e completa.

2) Un bel film, anche se gli manca qualcosa per essere un capolavoro. Molto riuscita la descrizione dell’atmosfera che accompagnò la crescita del nazionalsocialismo; specialmente la scena della giovane camicia bruna che canta, prima da sola, e poi con tutti gli avventori.

3) Il presentatore è bravissimo, dà il tempo, crea l’atmosfera, dirige lo spettacolo che sin dall’inizio del film ha un percorso già stabilito: è il solito ciclo delle cose, nulla si crea e nulla si distrugge, ma laddove all’inizio del film si vedeva il suo volto con il cerone, alla fine del film si vedono le svastiche… Cosa è successo nel mezzo? Non lo so mi sono distratto!!

4) Maximilian è il personaggio che più ho apprezzato: ricco, bello intraprendente, mi piace tanto anche perché quando ha capito che potevano esserci dei problemi è andato in Argentina: che romantico!!

5) Bellissimo, impressionante e attuale la scena del canto nazista, lo sfondo è un mondo allo sbando che sta prendendo una strada senza possibilità di ritorno. Bello il personaggio di lui molto British e con quello sguardo ingenuo da ragazzino. Fantastico il maestro di cerimonie, anche se alla fine si vende, oppure, invece, proprio perché lo fa.

 

Partecipanti: Francesco, Marta, Lilia, Mauro, Enrico.

 

Evento 2 del 18 maggio 2019

 

Gli "Otto punti":

 

La tradizione dei bigliettini continua! I partecipanti possono scrivere su bigliettini di carta in modo anonimo le proprie impressioni a caldo sui film visti. I commenti vengono raccolti, messi in una scatola letti durante la cena. Il gioco prevede anche che si indovini l'autore di ogni bigliettino. Il testo dei bigliettini è riportato qui sotto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Piętro Wyżej

 

1) E' uno di quei film che comunicano l'atmosfera di un periodo storico. Commedia degli errori leggera e spiritosa, difficile pensare che non abbia ispirato "a qualcuno piace caldo".

2) Commedia divertente su un mondo che ancora per pochi anni sarebbe stato spensierato e "libero", nonostante tutto, e soprattutto incredibilmente e volutamente ingenuo. Impressionante vedere una città e degli attori e pensare cosa sarebbe accaduto loro due anni dopo.

3) Il film del '37 mi ha ricordato le commedie americane di Lubitch, molto simpatico, con equivoci e il classico lieto fine.

4) Ho sofferto fino alla fine perché temevo che non andasse bene la storia di amore. Poi per fortuna tutto è andato bene.

5) Il film mi è piaciuto ma non sono d'accordo con Francesco perché Putin è molto bravo e buono e lui (Francesco) dice che non è vero che gli americani provocano. Il film mi ricorda troppo gli americani.

 

 

Pociąg

 

1) Bella fotografia, specialmente le inquadrature iniziali dall'alto. Bella musica. Storia di un femminicidio in bianco e nero. La storia scorre bene e ci lascia aperto un dubbio: che relazione esisteva (se sisteva) tra la bionda e l'assassino?

2) Regia affascinante, non stupisce che questo regista sia saccheggiato da decenni. Bella l'idea del treno, ambiente claustrofobico, antesignano di tante astronavi. Se proprio devo dirla tutta la storia non mi ha proprio acchiappato.

3) Un film che mescola abilmente più generi: dal drammatico psicologico al giallo e alla love story. Bravi e belli gli attori/ le attrici nel reggere i primi piani (tanti) e gli spazi angusti, a tratti claustrofobici. Bella la fotografia in bianco e nero, splendide le ultime inquadrature della spiaggia e del mare Baltico prima (o dopo) la tempesta.

4) Luce bellissima e morbida, tutto questo movimento claustrofobico negli scompartimenti, sali e scendi dalle cuccette, sembra quasi una danza studiata al millimetro, una coreografia articolata e intrappolata in spazi strettissimi. La musica di Komeda è davvero la protagonista del film, insieme agli occhi magnetici di Lucyna Winnicka.

5) Film decisamente esistenzialista, claustrofobico, accompagnato da una bellissima colonna sonora. Restituisce benissimo l'atmosfera dei treni di quei tempi, set perfetti per raccontare storie di viaggiatori ombrosi.

6) Mi è piaciuto molto. Belli i dialoghi tra i due protagonisti, le storie appena accennate durante il viaggio notturno. Un film che parla del dolore senza retorica.

7) Che musica, che fotografia e che atmosfera. Bellissimo l'approccio "esistenzialista". Tocca e sfiora un'infinità di punti "critici", apre varchi per profonde riflessioni, inizia e... si ferma.

8) Mi è piaciuto anche il secondo film, certo di genere completamente diverso. Non c'è una trama vera e propria ma tante persone che viaggiano su di un treno di notte ognuno con la sua vita, la sua storia, le sue vicende sentimentali, personali, con la sua meschinità, anche, con le sue paire, con l'essere civettuola con altri passeggeri... Un film malinconico, con una bella fotografia, in un bel bianco e nero, una musica jazz adatta alla storia.

 

Partecipanti: Francesco, Marta, Lilia, Mauro, Nevia, Giusi, Daniele, Daniela.

 

Evento 3 del 6 luglio 2019

 

Gli "Otto punti":

 

La tradizione dei bigliettini continua! I partecipanti possono scrivere su bigliettini di carta in modo anonimo le proprie impressioni a caldo sui film visti. I commenti vengono raccolti, messi in una scatola letti durante la cena. Il gioco prevede anche che si indovini l'autore di ogni bigliettino. Il testo dei bigliettini è riportato qui sotto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Zazdrość i medycyna

 

1) Bello in una intelligente lettura del genere "commedia" con continui riferimenti al mentire, al sostenere di essere un mentitore (=PARADOSSO DEL MENTITORE) e alla necessità che ciascuno di noi ha di mentire a se stesso e agli altri.

2) Non mi è piaciuto perché lei lo tradiva e questo non è giusto!!

3) Un dramma della gelosia piuttosto grottesco e visionario, ma soprattutto non pienamente riuscito. Si salva quanche inquadratura, qualche personaggio come quello dell'ebreo o i ragazzini suoi figli. Ma l'insieme non convince né come costruzione dei personaggi principali né come recitazione. Belli però i titoli di testa vagamente erotici e virati sul rosso, molto anni '70.

4) Allucinato, cupo e allo stesso tempo colorato, ambientazione unica nel suo genere, personaggi surreali e stereotipati. Continue dicotomie: mentire-dire la verità, godersi la vita-morire, amare-odiare, tutto con un sottofondo di tango e di un rumore di vento che non permette nulla di buono, tra oscure colline e cupe case di legno.

5) Film un po' sfasato. Temi interessanti come la gelosia e la verità presentati in una combinazione che non si riesce ad afferrare completamente: né a livello attoriale, né temporalem dé di sceneggiatura.

 

 

Pętla

 

1) Le 24 ore di un uomo affetto da etilismo che ha deciso di smettere di bere aiutato dalla sua coraggiosa compagna. Pochissimi spazi, la stanza di lui, la strada, qualche locale, il commissariato. E soprattutto il tempo che scorre, tempo che l'uomo non sa come riempire nella perenne attesa di una liberazione che sempra ancora lontana. Straordinario il protagonista. Bellissimi i molti dialoghi che esprimono spesso una forte volontà di dimenticare il passato e iniziare una nuova vita. Il film oscilla tra momenti quasi da teatro filmato (o da sceneggiato televisivo) e qualche esterno che pare tratto dal più o meno contemporaneo "Umberto P." del nostro De Sica. Ottimi anche i primi piani su oggetti, in particolare il monumentale telefono, in sintesi, un grandissimo film.

2) Bellissimo, di uno spessore e di una profondità non comuni. Film di metafore e di sensazioni, di umori e di una concretezza senza precedenti. La razionalità governa assoluta, con un filo logico rigido e imprescindibile, sul terreno della psiche.

3) Intenso e con una sua tragica bellezza. Cattura lo spettatore tenendolo tra speranza e disperazione. Noto di passata che il cinema polacco di quegli anni era ossessionato dal traffico e dagli incidenti stradali, e questo non mi lascia indifferente.

4) Manifesto contro l'alcolismo. Questa sera niente alcolici a cena, please. Personalmente apprezzo il film senza lieto fine, questo ha dato grande soddisfazione.

5) Belle immagini, ottima fotografia e regia. Forse un po' sotto tono i dialoghi, ma probabilmente pertinente alla cultura e alla lingua polacca.

7) Come vivere ogni giorno lo stesso giorno, la mattina, alle 8, inizia con una speranza, che però si affievolisce sempre più fino a morire la sera. L'unico modo per uscirne è morire. Non a caso è scritto dallo scrittore più pessimista del tempo, e in un periodo do forte disillusione. E il ritornare dei temi: il tempo, i ricordi, i telefoni, l'isolamento... e degli oggetti: gli specchi, gli orologi, il fango, i vetri... la musica non si capisce, spesso, se sia extradiegetica o diegetica.

 

Partecipanti: Francesco, Marta, Lilia, Mauro, Enrico, Daniele, Daniela.

 

Evento 4 del 15 settembre 2019

 

Vai direttamente all'ascolto musicale

 

Vai direttamente ai bigliettini

 

L'ascolto musicale:

 

Give me your money
Little Big Feat. Tommy Cash

 

Gli "Otto punti":

 

La tradizione dei bigliettini continua! I partecipanti possono scrivere su bigliettini di carta in modo anonimo le proprie impressioni a caldo sui film visti. I commenti vengono raccolti, messi in una scatola letti durante la cena. Il gioco prevede anche che si indovini l'autore di ogni bigliettino. Il testo dei bigliettini è riportato qui sotto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Salto

 

1) Un film "esistenzialista", come avrebbe detto il mio preside. Costruisce un'atmosfera allucinata, inquietante e, a tratti, comica. Sprazzi di dialoghi sfiorano il poetico. In ogni caso, non il tipo di film che preferisco.

2) Un uomo fuori posto, un bugiardo patologico che sconvolge il paesino di provincia. Eppure tutti gli credono, tranne qualche eccezione. Una corte dei miracoli fatta di individui traumatizzati, un'atmosfera allucinata e idilliaca insieme, dove in primo piano sta l'inganno, il falso.

3) Ho faticato un po' a guardare il film, e seguire la storia. Il protagonista arriva in questa comunità cerca di inserirsi con i vari abitanti persone + adulti che hanno vissuto il periodo della guerra; sembra quasi che lui fatichi ad inserirsi. Film un po' astruso per me nel finale corre via, salta su di un treno forse per cercare un altro posto dove stabilirsi.

4) La danza è un pezzo di storia del cinema. Tolto il protagonista gli attori sono bravissimi. Il film inizia con un SALTO dal treno, mostra la danza del SALTO e termina con un "SALTO" sul treno. Il proprietario di casa è bravissimo, è proprio un brav'uomo; in generale l'umanità rappresentata è molto stereotipata. L'effetto complessivo è che si fondono insieme i vari caratteri e si crea un unico personaggio collettivo estremamente rappresentativo dei danni che ha fatto la guerra.

 

 

Oltre la notte

 

1) Fotografia, musica e regia a livelli altissimi pari solo all'interpretazione della protagonista. Meravigliosa la canzone sui titoli di coda "Know the places".

2) Regia meravigliosa, con tanti diversi linguaggi. Telecamera mobilissima all'inizio, poi incredibilmente statica. Continue contrapposizioni tra scuro e chiaro sovraesposto. Attrice incredibilmente brava.

3) Film molto bello, teso, profondo e coinvolgente. Straordinaria interpretazione della protagonista che trasmette in modo efficace e potente l'insieme delle emozioni scatenate da''attentato. Magistrale la regia, inquadrature che "parlano".

4) Film molto bello, protagonista molto brava, un ruolo difficile, molto intenso. Elabrazione del lutto e del dolore della protagonista intensa e coinvolgente. Belle musiche.

 

Partecipanti: Francesco, Marta, Lilia, Mauro, Giusi.

 

Evento 5 del 15 novembre 2019

 

 

Vai direttamente ai bigliettini

 

La lettura de Il Maestro e Margherita

 

Il Maestro e Margherita, (Мастер и Маргарита), scritto da Michail Bulgakov tra il 1928 e il 1940.

Traduzione di Vera Dridso

I brani sono stati letti da Enrico e Mauro in italiano e da Lilia in russo.

 

PRIMO BRANO

       Te lo ripeto per l’ultima volta, smettila di fingerti pazzo, furfante, – proferí Pilato con voce blanda e monotona, – poche delle tue parole sono state trascritte, ma bastano a farti impiccare.

 

       No, no, egemone, – disse l’arrestato, tutto teso nel desiderio di essere convincente, – un tale mi segue dappertutto con la sua pergamena di capra e trascrive di continuo le mie parole. Ma una volta ho dato un’occhiata a quella pergamena e sono rimasto inorridito. Di tutto quello che c’era scritto, non avevo detto una parola. L’ho supplicato: «Brucia la tua pergamena, ti prego!» Ma me l’ha strappata di mano ed è fuggito.

 

       Chi? – domandò Pilato con un senso di ripugnanza, e si toccò una tempia con la mano.

 

       Levi Matteo, – spiegò di buon grado l’arrestato, – faceva il pubblicano; l’ho incontrato per la prima volta sulla strada di Betania, all’angolo del giardino dei fichi, e ci siamo messi a parlare. Dapprima mi trattava con ostilità, ed era persino offensivo, cioè credeva di offendermi chiamandomi cane -. L’arrestato ridacchiò. – Personalmente non vedo nulla di male in quella bestia perché debba offendermi il suo nome…

 

Il segretario smise di scrivere, e lanciò di sottecchi uno sguardo sorpreso, ma non all’arrestato, bensí al procuratore.

 

       … Però dopo avermi prestato ascolto si addolcí, – continuò Jeshua, – infine gettò il denaro sulla via e disse che mi avrebbe seguito nei miei viaggi…

 

Pilato sogghignò con una sola guancia, mettendo in mostra denti gialli, e disse, voltando tutto il torso verso il segretario:

 

       Oh, città di Jerushalajim! Che cosa non vi puoi udire! Un pubblicano, sentite, che getta il denaro nella via!

 

Non sapendo come rispondere, il segretario ritenne opportuno imitare il sorriso del procuratore.

 

       Disse che da quel momento il denaro gli era divenuto odioso, – cosí Jeshua spiegò lo strano atteggiamento di Levi Matteo, e aggiunse: – E da allora mi accompagna.

 

Senza smettere di sghignazzare, il procuratore guardò l’arrestato, poi il sole che saliva inesorabile al di sopra delle statue equestri dell’ippodromo in basso a destra, in lontananza, e in un parossismo di tormento assillante pensò che la cosa piú semplice sarebbe stata cacciare dalla loggia quello strano furfante pronunciando un’unica parola «impiccatelo». Cacciar via anche la scorta, rientrare dai porticato nel palazzo, dare ordine di oscurare la stanza buttarsi sul letto, chiedere acqua fresca, chiamare con voce lamentosa il cane Bangá, lagnarsi con lui dell’emicrania E il pensiero del veleno balenò seducente nella testa tormentata del procuratore.

 

Guardava l’arrestato con occhi torbidi, e per un po’ tacque, cercando penosamente di ricordare perché sotto lo spietato solleone mattutino di Jerushalajim stava davanti a lui un arrestato dal volto tumefatto dalle percosse, e quali altre domande inutili dovesse ancora rivolgergli.

 

       Levi Matteo? – chiese l’ammalato con voce rauca, e chiuse gli occhi.

 

       Sí, – echeggiò la voce alta che lo torturava.

 

       Ma che cosa dicevi a proposito del tempio alla folla del mercato?

 

La voce dell’accusato sembrava trafiggere la tempia di Pilato, tormentandolo in modo indicibile; questa voce diceva:

 

       Io, egemone, dicevo che il tempio della fede antica deve crollare e al suo posto deve sorgere il nuovo tempio della verità. Dissi cosí perché fosse piú comprensibile.

 

       Ma perché, vagabondo, turbavi la gente del mercato parlando di una verità di cui non hai idea? Che cos’è la verità?

 

Appena ebbe detto questo, il procuratore pensò: «Oh numi! Gli sto chiedendo delle cose che non c’entrano col processo… non riesco piú a dominare la mia mente…» E di nuovo gli balenò davanti la visione d’una coppa di liquido scuro. «Del veleno, voglio del veleno…» Di nuovo udí la voce:

 

       La verità anzitutto è che ti fa male la testa, ti fa talmente male che pavidamente pensi alla morte. Non solo non sei in grado di parlare con me, ma ti è perfino difficile guardarmi. E adesso sono involontariamente il tuo torturatore il che mi amareggia. Non riesci neppure a pensare e sogni solo che venga il tuo cane, l’unico essere, evidentemente, al quale sei affezionato. Ma il tuo tormento cesserà subito, la testa non ti farà piú male.

 

Il segretario spalancò gli occhi sull’arrestato e non terminò la parola che stava scrivendo.

 

Pilato alzò gli occhi di martire sul prigioniero e vide che il sole era già abbastanza alto sopra l’ippodromo, che un raggio era penetrato nel porticato e strisciava verso i sandali logori di Jeshua e che questi se ne scostava.

 

Il procuratore si alzò allora dalla scranna, strinse la testa fra le mani, e sul suo giallognolo volto sbarbato si dipinse il terrore. Ma lo represse subito con uno sforzo di volontà e si abbandonò di nuovo nella scranna.

 

Nel frattempo l’arrestato continuava il suo discorso, ma il segretario non scriveva piú nulla: cercava solo, allungando il collo come un’oca, di non perdere una parola.

 

       Ecco, tutto è finito, – diceva l’arrestato guardando con benevolenza Pilato, – ne sono molto lieto. Ti consiglierei, egemone, di lasciare temporaneamente il palazzo e di farti una passeggiata a piedi nei dintorni, anche solo nei giardini sul monte Elion. Il temporale avrà inizio… – il prigioniero si voltò, socchiuse gli occhi guardando il sole… piú tardi, verso sera. La passeggiata ti farebbe molto bene, e io ti accompagnerei volentieri. Mi sono venute in mente alcune idee che, credo, ti potrebbero sembrare interessanti e te ne farei volentieri partecipe, tanto piú che dai l’impressione di essere assai intelligente -. Il segretario diventò pallido come un cadavere e lasciò cadere a terra il rotolo di pergamena. – Il guaio è, – nessuno interrompeva l’uomo legato, – che sei troppo rinchiuso in te stesso, e non hai piú alcuna fiducia negli uomini. Non si può, ammettilo, riporre tutto il proprio affetto in un cane. La tua vita è vuota, egemone, – e qui l’uomo si permise di sorridere.

 

Il segretario pensava solamente a una cosa: credere o no alle proprie orecchie. Bisognava crederci. Allora cercò di immaginare quale forma capricciosa avrebbe assunto la furia dell’irascibile procuratore dopo quell’inaudita insolenza del prigioniero. Ma non vi riusciva, benché conoscesse bene il procuratore.

 

Si udí allora la voce rotta e rauca del procuratore che disse in latino:

 

       Slegategli le mani.

 

Uno dei legionari della scorta batté la lancia in terra, la passò a un altro, si avvicinò e tolse le corde all’arrestato. Il segretario raccattò il rotolo e decise di non scrivere nulla per il momento e di non stupirsi di nulla.

 

       Confessa, – disse piano in greco Pilato, – sei un grande medico?

 

       No, procuratore, non sono un medico, – rispose il prigioniero, sfregandosi con voluttà la mano paonazza sformata e tumefatta.

 

Pilato trafiggeva il prigioniero con gli occhi, guardandolo fisso di sotto le sopracciglia aggrottate, e in quegli occhi non c’era piú nulla di torbido: vi erano apparse le scintille ben note a tutti.

 

       Non te l’ho chiesto, – disse Pilato, – forse sai anche il latino?

 

       Sí, lo so, – rispose l’arrestato.

 

Il colore affiorò sulle guance giallastre di Pilato, che chiese in latino:

 

       Come hai fatto a sapere che volevo chiamare il mio cane?

 

       È facilissimo, – rispose il prigioniero nella stessa lingua. – La tua mano ha fatto un gesto nell’aria, – e ripeté egli stesso quel gesto, – come se tu volessi fare una carezza, e le tue labbra…

 

       Già, – disse Pilato.

 

Tacquero. Poi il procuratore chiese in greco:

 

       Allora sei un medico?

 

       No, no, – rispose con vivacità il prigioniero, – credimi, non sono un medico.

 

       E va bene, se vuoi che resti un segreto, fai pure. Questo non riguarda direttamente la tua causa. Quindi tu affermi che non incitavi a distruggere… o incendiare, o annientare in qualche altro modo il tempio?

 

       Io, egemone, non ho incitato nessuno a tali azioni, lo ripeto. Sembro forse un demente?

 

       No, non lo sembri proprio, – rispose con voce sommessa il procuratore, ed ebbe un sorriso terribile. – Allora giurami che non è vero.

 

       Su che cosa vuoi che io giuri? – chiese pieno di animazione l’uomo slegato.

 

       Be’, anche sulla tua vita, – rispose Pilato, – è proprio il momento giusto per giurare sulla tua vita, perché è appesa a un filo, sappilo.

 

       Credi di essere stato tu ad appenderla, egemone? – chiese il prigioniero. – Se fosse cosí, ti sbaglieresti di grosso.

 

       Pilato trasalí e rispose tra i denti:

 

       Posso tagliare quel filo.

 

       Anche qui ti sbagli, – ribatté il prigioniero con un luminoso sorriso e riparandosi con la mano dal sole. – Ammetterai che il filo può essere spezzato solo da chi lo ha teso.

 

       Già, già, – sorrise Pilato, – adesso non dubito piú che gli oziosi perdigiorno di Jerushalajim ti seguissero a passo a passo. Non so chi ti abbia messo la lingua in bocca, ma te l’ha messa bene. A proposito, dimmi, è vero che sei giunto a Jerushalajim dalla Porta di Susa cavalcando un asino e accompagnato da una folla che ti acclamava come un profeta? – Dicendo questo, il procuratore fece un cenno verso il rotolo di pergamena.

 

       L’arrestato guardò perplesso il procuratore.

 

       Non ho nemmeno l’asino, egemone, – disse. – È vero che sono giunto a Jerushalajim dalla Porta di Susa, ma a piedi, accompagnato dal solo Levi Matteo, e nessuno mi acclamava, perché allora a Jerushalajim nessuno mi conosceva.

 

       Conosci queste persone, – continuò Pilato senza distogliere gli occhi dal prigioniero: – un certo Disma, un certo Hesta, e infine Bar-Raban?

 

       Non conosco questa buona gente, – rispose il prigioniero.

 

       Davvero?

 

       Davvero.

 

       E adesso dimmi perché usi sempre le parole «buona gente». Chiami tutti cosí?

 

       Sí, tutti, – rispose il prigioniero. – Non esistono uomini cattivi.

 

       È la prima volta che lo sento dire, – sogghignò Pilato.

 

       Magari conosco poco la vita!… Puoi fare a meno di scrivere, – disse al segretario, benché questi non scrivesse piú da un pezzo, e continuò, rivolto al prigioniero: – L’hai letto in qualche libro greco?

 

       No, ci sono arrivato da solo.

 

       E lo predichi?

 

       Sí.

 

       Ma, per esempio, il centurione Marco, l’hanno soprannominato l’Ammazzatopi, è buono anche lui?

 

       Sí, – rispose il prigioniero, – però è un infelice. Da quando certa buona gente l’ha mutilato, è diventato crudele e duro. Vorrei sapere chi l’ha mutilato.

 

       Te lo dirò volentieri, – ribatté Pilato, – perché ero presente. La buona gente gli si buttava addosso come i cani fanno con gli orsi. I germani lo avevano afferrato per il collo, le braccia, le gambe. Il manipolo di fanteria era stato preso in una sacca, e se dal fianco non si fosse incuneata una torma di cavalieri (la comandavo io), tu, filosofo, non avresti avuto l’occasione di chiacchierare con l’Ammazzatopi. Fu nella battaglia di Idistaviso, nella Valle delle Vergini.

 

       Se si potesse parlargli, – disse con voce sognante il prigioniero, – sono certo che cambierebbe subito.

 

       Ritengo, – rispose Pilato, – che farebbe poco piacere al legato della legione, se ti venisse in mente di parlare con qualcuno dei suoi ufficiali o soldati. Del resto, questo non succederà, per il bene comune, e il primo che provvederà a questo sarò io.

 

In quel momento sotto il porticato entrò di slancio una rondine, descrisse un cerchio sotto la volta dorata, si abbassò, sfiorò con l’ala appuntita il volto di una statua di rame dentro una nicchia e scomparve dietro il capitello di una colonna. Forse le era venuta l’idea di farvi il suo nido.

 

Durante quelle evoluzioni, nella testa del procuratore, ridiventata limpida e leggera, era nata una formula: l’egemone ha preso in esame la pratica del filosofo vagabondo Jeshua, soprannominato Hanozri, e non vi ha riscontrato gli estremi del reato. In particolare, non ha trovato il menomo legame tra l’attività di Jeshua e i disordini avvenuti da poco a Jerushalajim. Il filosofo vagabondo è un malato di mente, per cui il procuratore non conferma la condanna a morte di Hanozri emanata dal Piccolo Sinedrio. Ma considerato che i folli discorsi utopistici di Hanozri possono causare disordini a Jerushalajim, il procuratore esilia Jeshua da Jerushalajim e lo fa confinare a Cesarea, sul Mediterraneo, cioè proprio nel luogo di residenza del procuratore.

 

Rimaneva da dettare questo al segretario.

 

Le ali della rondine frullarono sopra la testa dell’egemone, l’uccello si slanciò verso la vasca della fontana e volò via. Il procuratore alzò lo sguardo verso il prigioniero e vide che vicino a lui una colonna di pulviscolo riluceva al sole.

 

       È tutto? – chiese Pilato al segretario.

 

       No, purtroppo, – rispose inaspettatamente questi, e porse a Pilato un altro pezzo di pergamena.

 

 

SECONDO BRANO

Non avendo potuto venire a capo di niente nella Commissione, lo scrupoloso Vasilij Stepanovic decise di recarsi alla filiale, che si trovava nel vicolo Vagan’kovskij, e, per calmarsi un po’, fece la strada a piedi.

La filiale urbana degli spettacoli si trovava in una palazzina scrostata per il tempo in fondo a un cortile ed era celebre per le colonne di porfido del vestibolo. Quel giorno però i visitatori non erano impressionati dalle colonne, bensí da quello che avveniva attorno ad esse.

 

Alcuni visitatori stavano come impietriti a guardare una signorina piangente seduta a un tavolino coperto di pubblicazioni teatrali, della cui vendita essa era l’incaricata. In quel momento, però, essa non offriva alcuna pubblicazione, e alle domande compassionevoli rispondeva con un gesto della mano, mentre dall’alto, dal basso, dai lati, insomma da tutti i reparti della filiale si riversavano gli squilli ininterrotti di almeno venti telefoni.

 

Dopo aver versato qualche lacrima, la signorina sussultò, urlò istericamente: – Ricomincia! – ed attaccò a cantare con una tremula voce da soprano:

 

Celebre mare, sacro Bajkal…

 

Il fattorino, apparso sulla scala, minacciò qualcuno col pugno, e accompagnò la signorina, con una voce baritonale fioca e inespressiva:

 

La bella nave è un barile di pesci…

 

Alla voce del fattorino si unirono voci lontane, il coro prese a crescere e, alla fine, la canzone risuonò in tutti gli angoli della filiale. Nella vicina stanza n. 6, dove si trovava il reparto contabile di controllo, si distingueva una voce potente ma un po’ velata di un basso profondo. Il coro era accompagnato dal crescente strepitio degli apparecchi telefonici.

 

Ehi, vento del nord, muovi l’onda!…

 

urlava il fattorino sulla scala.

 

Le lacrime scorrevano sul viso della ragazza; essa cercava di stringere i denti, ma la sua bocca si apriva da sola, ed essa cantava di un’ottava piú su del fattorino:

 

Il giovanotto non deve andar lontano!…

 

I muti visitatori della filiale erano stupiti dal fatto che i coristi, sparsi in vari posti, cantassero all’unisono come se l’intero coro non staccasse gli occhi da un invisibile direttore.

 

Coloro che passavano per il vicolo Vagan’kovskij si fermavano presso l’inferriata dell’ingresso, meravigliandosi dell’allegria che regnava nella filiale.

 

Non appena la prima strofa giunse alla fine, il canto cessò di colpo, di nuovo come ubbidendo alla bacchetta di un direttore. Il fattorino imprecò a bassa voce e sparí.

 

Si aprí la porta principale e apparve un signore con un soprabito dal quale spuntavano le falde di un camice bianco e con lui un poliziotto.

       Faccia qualcosa, dottore, la supplico! – gridò istericamente la ragazza.

 

Corse fuori sulla scala il segretario della filiale, e, ardendo visibilmente di vergogna e d’imbarazzo, disse in un balbettio:

 

       Vede, dottore, abbiamo qui un caso di ipnosi collettiva, è quindi necessario… – Non terminò la frase, cominciò a impappinarsi e attaccò con voce tenorile:

 

Silka e Nercinsk…

 

       Cretino! – fece in tempo a gridare la ragazza, ma non spiegò con chi ce l’avesse, ed emise invece un trillo forzato, cantando anche lei di Silka e Nercinsk.

 

       Si padroneggi! La smetta di cantare! – disse il dottore al segretario.

 

Tutto attestava che questi avrebbe dato qualsiasi somma pur di smettere di cantare, ma smettere non poteva e, insieme col coro, portò a conoscenza di coloro che passavano per la strada che «nella boscaglia non lo toccò la belva vorace, e le pallottole dei tiratori non lo raggiunsero».

 

Non appena la strofa finí, la ragazza ricevette per prima una dose di valeriana dal medico, che corse poi dagli altri impiegati dietro al segretario, per dar la medicina anche a loro.

 

Gli "Otto punti":

 

La tradizione dei bigliettini continua! I partecipanti possono scrivere su bigliettini di carta in modo anonimo le proprie impressioni a caldo sui film visti. I commenti vengono raccolti, messi in una scatola letti durante la cena. Il gioco prevede anche che si indovini l'autore di ogni bigliettino. Il testo dei bigliettini è riportato qui sotto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fuga dal cinema "Libertà"

 

1) Il film mi è piaciuto: ho trovato interessante l’interazione tra le persone del mondo reale in sala e gli attori del set nella pellicola, con questa finta rottura della quarta parete. Devo rivederlo perché purtroppo mi sono persa dei pezzi.

2) Saggio sulla libertà, quella vera, quella che sta dietro lo schermo. Per quanto possa sembrare paradossale gli attori imbrigliati nel loro copione sono molto più liberi dei liberi spettatori del cinema “Libertà”.

3) La resa dei conti con la censura del regime va in scena con fantasia, ritmo e probabilmente grande soddisfazione di tutti, anche noi spettatori.

4) Un film sulla somatizzazione del senso di colpa. Siccome non c’è posto per un censore, né nel mondo reale, né nel mondo della finzione, allora è un requiem. Un requiem per un censore, ma anche un requiem per un’epoca che si chiude. Come dice il censore: se non ci fosse la censura, saremmo noi stessi a doverci censurare, e come faremmo? Bello e credibile il disagio fisico di Gajos e scena madre: l’assistente ispirato che canta il requiem.

5) Oggi mi sono reso conto, più che mai, di come gli eventi estemporanei della vita quotidiana, ad esempio un foglio di giornale che svolazza, i tetti di Varsavia, una luna piena che si affaccia alla finestra, interagiscano attivamente con le vicende del protagonista diventando interdipendenti l’una con l’altra. Non viaggiano quindi parallele ma l’una rimanda all’altra di continuo. Ma quanto sudano a Varsavia con il freddo che fa?

6) Ho seguito il film con difficoltà. Non mi ha convinto. Il gusto della citazione, da Bulgakov a Woody Allen per arrivare poi fino a Dostoevskij, mi è sembrato addirittura compulsivo col risultato di rendere il film sovraccarico e affastellato. Se il tema (nobilissimo) era la libertà dell’arte, forse era meglio trovare una strada meno tortuosa per trattarlo. Si salva la recitazione, certo. Ma non basta, secondo me, a valorizzare il film.

7) Non mi è piaciuto perché mette in cattiva luce i russi.

8) Per essere un film polacco, e quindi proveniente da un paese che noi tendiamo ad invadere, non è male. La validità del film è ovviamente dovuta al fatto che è basato su un libro russo.

9) Bellissimo film, surreale, ironico e profondo sulla censura e libertà di pensiero. Un film Polacco, un film nel film sui film come concludere al meglio gli incontri del Cinema Zuta?

10) Geniale e divertente, una versione polacca del “Maestro e Margherita” che gioca ad alzare la posta dello sfondamento della 4° e 5° parete.

 

Partecipanti: Francesco, Marta, Lilia, Mauro, Enrico, Daniele, Daniela, Nevia, Paolo, Alice.