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WAŁĘSA - CZŁOWIEK Z NADZIEI

Al Polski Kot 25° anniversario delle prime elezioni libere in Polonia

Wałęsa – L’uomo della speranza

 

Testo dell'intervento del 07 giugno 2014 al Polski Kot in occasione del 25° anniversario delle prime elezioni libere in Polonia

Andrzej Wajda nasce nel 1926 nel nord est della Polonia, e inizia gli studi a Radom. Il padre, Kazimierz Wajda, cade prigioniero dei russi e viene ucciso a Katyń lasciando nella vita del futuro regista un vuoto incolmabile che non potrà essere espresso liberamente fino a quando non riuscirà a girare il film Katyń nel 2007. Durante la guerra studia nelle scuole clandestine, ma presto deve smettere per motivi economici. Mentre lavora come magazziniere, nonostante la situazione sempre più difficile, si interessa di pittura. Nel ’42 si sposta a Varsavia e diventa membro dell’Armja Krajowa, l’esercito clandestino polacco. Quando molti dei suoi compagni vengono presi dalla Gestapo, decide di trasferirsi prima a Cracovia e poi, dopo la fine della guerra, di tornare a Radom per finire il liceo alle scuole serali.

 

Intervista ad Andrzej Wajda (I)

Intervista ad Andrzej Wajda (II)

 

La sia propensione per le arti visive è chiaramente riscontrabile nei suoi film, in cui le inquadrature sono sempre perfettamente concepite, con una particolare attenzione alla luce. E non stupisce che Wajda abbia fatto la storia del cinema polacco, perché il cinema polacco, come lui stesso afferma in varie interviste[1], è un cinema di immagini e non di parole, forse anche a causa della censura, che tende a censurare più facilmente le parole che le immagini.

 

Il suo primo film, Generazione del 1954, segue ancora in gran parte i dettami del Socrealizm, i suoi personaggi sono stereotipati e senza sfumature. Solo il linguaggio cinematografico, in particolare grazie alla fotografia contrastata e a tratti tecnicamente “scorretta” di Jerzy Lipman, si distacca da quanto fino ad allora conosciuto nel cinema del dopoguerra. In questo film compaiono già artisti che diventeranno famosi, come il giovanissimo Roman Polański, Zbigniew Cybulski, Tadeusz Łomnicki e altri.

 

Verso la fine degli anni ’50 escono I dannati di Varsavia (1956) e Cenere e diamanti (1958), i suoi due capolavori attribuiti alla corrente della cosiddetta Scuola Polacca, che in quegli anni riunisce molte diverse personalità attive nel cinema. Personalità che, come afferma lo stesso Wajda, sono indipendenti e molto diverse tra loro.

 

Il filo conduttore tra gli esponenti della Scuola Polacca è rappresentato più che altro dalle tematiche affrontate, che comprendono ad esempio l’insurrezione di Varsavia, i soldati dell’Armia Krajowa, e tutti quei temi che durante lo stalinismo potevano essere affrontati solo incorrendo in distorsioni della realtà o interdizioni della censura: tutti argomenti diventati tabu e ripresi soltanto dopo il 1956, ovvero quando Gomułka permette un certo allentamento delle maglie, sdoganandoli.

 

Wajda riesce a fare film di rilievo durante tutte le fasi della storia polacca, come un equilibrista, mantenendo sempre un livello artistico molto alto. Tra gli anni ’70 e gli anni ’80 fa parte della corrente del Cinema dell’Inquietudine Morale, i cui esponenti sono autori del calibro di Krzysztof Zanussi e Krzysztof Kieślowski e di cui fa parte anche Agnieszka Holland, che spesso collabora con Wajda per la stesura delle sceneggiature.

 

In questo periodo, oltre al film Senza Anestesia del 1978 che ritrae le persecuzioni politiche perpetrate nei confronti di molti intellettuali, gira due film che con Wałęsa – L’uomo della speranza, presentato alla biennale del Cinema di Venezia nel settembre del  2013, creano una vera e propria trilogia anti-regime.

 

Si tratta di L’uomo di marmo del 1976 e L’uomo di ferro del 1981, quest’ultimo incentrato sugli scioperi dell’80 e ’81 e sulla nascita di Solidarność e girato proprio mentre questi stessi avvenimenti accadevano. Pare che per quest’ultimo film Wajda abbia chiesto in prestito a Jaruzelski alcuni carri armati per le riprese, e che lui abbia rifiutato, usandoli poi qualche mese dopo durante lo stato di guerra.

 

Protagonista de L’uomo di marmo è Agnieszka, una giovane studentessa della scuola di cinema che sul finire degli anni ’60 si pone l’obiettivo di girare un documentario su Birkut, un operaio e eroe stakanovista impegnato nella costruzione di Nowa Huta a Cracovia negli anni ’50. In considerazione dei meriti di quest’ultimo, era stata anche scolpita una statua di marmo a lui dedicata, che Agnieszka all’inizio del film trova casualmente in un museo. In verità,  Birkut diviene velocemente un personaggio scomodo, al punto che Agnieszka non riesce a terminare il suo documentario. Non solo: le sue insistenze volte a terminare il lavoro intrapreso la porteranno soltanto all’espulsione dalla scuola di cinema.

 

Ritroviamo entrambi, Agnieszka e Birkut, nel film L’uomo di ferro. Sono passati dieci anni e il protagonista del film, Winkel, un reporter di Varsavia allineato con il regime, ha il compito di fare un reportage su quanto sta accadendo a Danzica. In particolare deve trovare il modo per screditare Maciej Tomczyk, uno dei leader che, al fianco di Wałęsa, guida la protesta ai cantieri navali. Il giovane è un personaggio scomodo per le autorità anche in quanto figlio di Birkut, divenuto un martire degli scioperi del ‘70.

 

Maciej Tomczyk è l’uomo di ferro: un giovane che verrà forgiato come un pezzo di metallo dalla vita in Polonia[2]. Deluso profondamente dal padre che non si unisce con i suoi colleghi lavoratori alla protesta studentesca nel ’68 cui lui partecipa, è costretto successivamente ad affrontare un grande senso di colpa nei confronti di quest’ultimo, che muore durante gli scioperi dei lavoratori nel ’70, a cui questa volta è stato Maciej a rifiutarsi di partecipare.

 

Maciej si innamora di Agnieszka, stesso personaggio e stessa attrice, protagonista di L’uomo di marmo. Alla loro cerimonia di nozze i testimoni sono gli autentici Lech Wałęsa e Anna Walentynowicz, che partecipano al film in qualità di attori che interpretano se stessi.

 

Wałęsa - Człowiek z nadziei

 

Questo ci permette di mettere in evidenza i due elementi che ritroveremo, opportunamente declinati nello stile cinematografico di trent’anni dopo, in Wałęsa – L’uomo della speranza. Il primo consiste in un montaggio sapiente e accorto di spezzoni di filmati di repertorio con sequenze di finzione, con la partecipazione di personaggi reali in veste di attori e viceversa. Il secondo è la struttura basata sui flashback.

 

 

Il  flashback ne L’uomo di ferro intesse e tiene vivo il parallelo tra quanto accade nel 1968-70 e quanto accade nel 1980. Nel nostro Wałęsa – L’uomo della speranza, invece, si incarna in un’ossatura basata sull’intervista tenuta da Oriana Fallaci[3] a Lech Wałęsa poco prima della dichiarazione dello stato di guerra ad opera di Jaruzelski nell’81.

 

In entrambi i film gli spezzoni di repertorio vengono incastonati in maniera magistrale, e comunque mai forzata, all’interno delle sequenze di finzione.

 

Tra i filmati di repertorio utilizzati si trovano anche dei “falsi”, come ad esempio una sequenza in cui una bella musica anni “80 giovane e aggressiva (la colonna sonora del film è estremamente accattivante e il montaggio ha un ritmo decisamente veloce) accompagna due giovani mentre distribuiscono volantini nel vagone di un treno. Si tratta di una sequenza ritagliata da L’uomo di ferro e i due personaggi sono Agnieszka e Maciej (Krystyna Janda e Jerzy Radziwiłowicz), che tra l’altro, per mezzo di un ulteriore stacco di montaggio, consegneranno un volantino anche al Wałęsa personaggio del nostro film  (Robert Więckiewicz).

 

Tornando all’intervista di Oriana Fallaci, essa è il mezzo scelto da Wajda per raccontare il Wałęsa uomo, il Wałęsa con sei figli che devono mangiare e cui si deve cambiare il pannolino, il Wałęsa che prima di uscire di casa si sfila orologio e anello e li lascia alla moglie Danuta affinché li venda “solo nel caso…”.

 

Pare che Wajda avesse a cuore, sin dalle prime fasi della realizzazione di questo film, due aspetti. Il primo consisteva nel raccontare la Storia con la “S” maiuscola privilegiandone la sua dimensione umana e quella personale dei suoi protagonisti, mantenendo sempre un occhio di riguardo nei confronti delle figure femminili, qui rappresentate da Danuta Wałęsa, che pur poste in secondo piano hanno un ruolo fondamentale. Il secondo aspetto consisteva, invece, nel raccontare una storia che fosse credibile sia per un pubblico polacco che per un pubblico d’oltreoceano o appartenente al resto dell'Europa.

 

E’ in quest’ottica che va interpretata la scelta del regista di affidare la sceneggiatura allo scrittore polacco Janusz Głowacki, che aveva sì partecipato agli eventi narrati in qualità di lavoratore nei cantieri di Danzica, ma che dall’83 vive e lavora negli Stati Uniti.

 

Un altro degli scopi principali del film è quello di far conoscere questi avvenimenti a chi non li ha vissuti, e non solo perché non abita in Polonia: il film infatti, con il suo montaggio velocissimo che sembra quasi da videoclip e la sua colonna sonora, che comprende gruppi polacchi nati non prima dell’83 e che fanno musica che va dal reggae al rock, fino ad arrivare all’hard rock e punk, è chiaramente rivolto anche ai giovani polacchi, affinché possano ricordare questi avvenimenti come se li avessero vissuti veramente, facendo tesoro degli insegnamenti che dà loro la Storia.

 



[1] Vedi l’intervista del 04/10/2013 su Jedynka, il primo programma della radio polacca, tenuta da Joanna Sławińska ad Andrzej Wajda

[2] Dai dialoghi del film L’uomo di ferro di Andrzej Wajda del 1981

[3] Il testo si trova in Intervista con il potere di Oriana Fallaci -  Edizioni Rizzoli, Milano, 2009